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All’arena Daturi il ricordo delle vittime del Covid: “Abbiamo bisogno, per ricominciare, di custodire anche la memoria della fragilità” – FOTO

Santa Messa in suffragio delle vittime del Covid-19 all’Arena Daturi. L’appuntamento, voluto dal Comune di Piacenza e dalla Diocesi di Piacenza e Bobbio, ha riunito la comunità di fedeli nel giusto ricordo di coloro che hanno perso la vita a causa del Coronavirus e che, in periodo di lockdown, non hanno potuto ricevere il conforto della vicinanza dei propri affetti, nè l’accompagnamento nelle esequie o la presenza dei propri cari nel momento del commiato.

Il discorso del sindaco Patrizia Barbieri

Mi sono chiesta più volte, in questi tragici mesi, quali potessero essere le parole più opportune per rendere il doveroso omaggio, con rispetto e senza retorica, a tutte le persone che il virus ha strappato ai propri affetti. Ma forse non esistono, le parole giuste, per dare voce al profondo dolore di una comunità intera, perché i sentimenti che proviamo toccano corde intime e diverse nel nostro cuore: l’intensità di un ricordo, la dolcezza di un sorriso, il calore e l’approdo sicuro di quell’abbraccio che ci manca così tanto, il senso di vuoto, lo struggimento di un ultimo saluto mai dato.

Con questo carico di pensieri, la comunità piacentina si stringe oggi a tutti coloro che sono mancati e a tutti i nostri concittadini che non hanno potuto accompagnare i propri cari nell’ultima tappa del loro cammino, rivolgendo un pensiero commosso e partecipe a ciascuno di loro.

Insieme, stamani, abbiamo cercato conforto e speranza nella testimonianza di fede del nostro Vescovo Gianni, riscoprendo il valore di una condivisione che a lungo, per proteggerci, ci è stata negata. Certo, ora è il tempo del fare, dell’agire teso al rilancio, alla ripartenza; eppure, questa celebrazione ci esorta a non avere paura di restare fermi per qualche istante ancora, senza distogliere lo sguardo dalla sofferenza che questo territorio ha vissuto dal 21 febbraio ad oggi.

Non potremo mai dimenticare ciò che è stato. Il suono delle sirene, gli occhi dei nostri operatori sanitari dietro la coltre di mascherine, tute e visiere. Le pagine fitte di necrologi, le tende dell’ospedale da campo. Ma anche la solidarietà che si è fatta strada tra le pieghe dell’isolamento, la fiducia e la gratitudine nei confronti di coloro che hanno lavorato o si sono impegnati come volontari in prima linea, in tutti i settori coinvolti.

Siamo gente concreta, forte, abituata a rimboccarsi le maniche. Ma il valore della resilienza, con cui in questi mesi abbiamo imparato a misurarci, talvolta può non essere sufficiente. Abbiamo bisogno, per ricominciare, di custodire anche la memoria della fragilità, della vulnerabilità estrema che ognuno di noi ha percepito, per sé e per coloro che amiamo, nella difficoltà dell’emergenza.

Per questo, oggi, è importante riaffermare che i numeri cui il Paese guarda come statistica, valutando l’incidenza dell’epidemia, raccontano per noi la storia di persone che conoscevamo, cui abbiamo voluto bene; e altre di cui forse ignoriamo il nome, il volto, ma la cui scomparsa lascia un vuoto incolmabile per chi resta. Raccontano il dolore di un’intera comunità. Questa è una ferita che il tempo non cancella né potrà rimarginare, ma portandone il segno possiamo vedere con occhi diversi la nostra quotidianità. Ascoltando chi è solo, rispondendo a chi ha bisogno di aiuto. Trovando il modo per dare una mano. Rammentandoci, ad ogni passo, che il più piccolo gesto di sensibilità e vicinanza può fare la differenza.

Qualcuno mi ha domandato, nei mesi scorsi, come si ricostruisce una comunità dopo l’esperienza devastante di questa crisi. Oggi, come allora, vorrei dire che questa coesione e questo desiderio di unità io li ho sentiti crescere, nel corso delle settimane, anche e soprattutto nei momenti più bui. Li ho visti nella dedizione e nel sacrificio di chi si è fatto carico della cura, nella dignità e nell’amore di chi non ha potuto restare accanto a familiari e amici ammalati, nel coraggio e nella tenacia di chi ha affrontato questo nemico. Li ho colti lungo un percorso in cui il cordoglio del singolo è diventato il lutto di tutti. E li avverto oggi, in questo dolore che avrà sempre radici profonde ma sa parlarci, al tempo stesso, di quanto sia preziosa la vita.

Ecco, credo che Piacenza saprà rendere onore a coloro che non ci sono più non solo serbandone il ricordo, ma coltivando come un dono quel senso di appartenenza e di reciproca attenzione di cui tutti condividiamo ora più che mai la responsabilità, affinché non vada disperso. Ai miei occhi, la condivisione di oggi è anche la promessa di una mano tesa, il simbolo della volontà di esserci, gli uni per gli altri. Di questo, nel rinnovare a ciascuno di voi, e a chi non ha potuto essere qui, il mio abbraccio e quello della nostra cittadinanza, vi sarò sempre riconoscente.

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