Attualità

Il vescovo Cevolotto ospite del consiglio comunale, dalla povertà al disagio giovanile: “Occorre essere umani e lavorare insieme”

“Qui si combatte la logica purtroppo diffusa che il bene da perseguire sia di una parte, il mio o il nostro. Qui invece l’obiettivo è dare nome al bene di tutti”. Con queste parole il vescovo monsignor Adriano Cevolotto ha visitato il consiglio comunale.

L’immigrazione

La città è cambiata, le comunità parrocchiali si sono modificate, della presenza consistente di famiglie immigrate. Il volto della nostra città è diventato molto diverso, perché non si tratta più di quella fase che era di qualche decennio fa, nella quale arrivavano persone da altri continenti e che si trattava di accogliere.

Ora queste persone, queste famiglie hanno qui la loro residenza, qui il futuro loro e dei loro figli. Parliamo, lo sappiamo bene, di oltre il 20% di persone immigrate nel comune di Piacenza. Uno, ogni quattro, ogni cinque meglio, è una persona immigrata, di origine immigrata. Se, fino a qualche tempo fa, l’emergenza era di andare incontro a delle povertà, oggi pur perdurando questa esigenza, possiamo dire che il nostro rapporto con chi è arrivato tra noi si sta modificando. Quasi una forma di slogan potremmo riassumere «non che cosa fare per, ma come costruire una convivenza con».

Questa è la sfida per tutti e proprio per evitare fraintendimenti, cioè il fatto che io pensi a qualcun altro, vi dico che ce lo stiamo ripetendo anche noi come comunità cristiana, perché la cosa ci riguarda. Non sono prima di tutto persone che dobbiamo aiutare perché si trovano in qualche necessità, ma sono una risorsa. Lo devono essere. Non possono essere e rimanere un problema.

Studenti universitari

La realtà della nostra città si è trasformata anche per la presenza di studenti universitari che in questi decenni sono cresciuti offrendo prima di tutto opportunità di scambio non solo nazionali ma addirittura internazionali. Proviamo a pensare al numero di studenti all’Università Cattolica, al Politecnico, alla Facoltà di Medicina in inglese, al Conservatorio.

Capita spesso passeggiando, camminando per la città di sentire giovani che parlano in inglese o in qualche altra lingua e capisco che non sono di famiglie immigrati, sono studenti. Ecco da questo mondo ci pervengono domande che dobbiamo raccogliere. Una comunità accogliente dona e riceve insieme, e al contrario ogni forma di chiusura si ripercuote anche sulla comunità che accoglie.

L’emergenza abitativa

Non può consolarci il fatto che sia un problema diffuso in molte parti d’Italia. La fatica, in alcuni casi l’impossibilità di trovare alloggio ha dei legami con altri aspetti della vita. Come il lavoro. Pensiamo al lavoro precario, al lavoro povero. Richiesto dal nostro territorio, c’è una domanda, ma impastato con un’incertezza che è incapace di offrire garanzie, anche per trovare un alloggio. Il problema della casa, l’emergenza abitativa, ha a che fare con lo studio. La ricerca di alloggio agli studenti fuori sede è drammatica, anche per i costi che non possono essere ritenuti popolari. Ma ancora l’emergenza abitativa ha a che fare con le nuove situazioni sociali, familiari, personali e in questo aspetto molto più democratiche e trasversali come il caso di improvvise crisi economiche e familiari, penso in particolare ai padri separati”.

L’emergenza educativa

Le fasce più vulnerabili sono legate all’ambiente dell’immigrazione, è vero, e dobbiamo esserne consapevoli. Ma penso insieme anche alle risposte che ho incontrato in molte parrocchie, in molti oratori, per i ragazzi, quelli che sono delle forme di doposcuola, di sostegno allo studio, fatte da tanti volontari, da persone ex insegnanti in pensione.

È come dare vita a persone che forse avevano perso anche il senso, il gusto del vivere, mettere a frutto le loro competenze, la loro storia, la loro passione. Ma anche penso a quelle offerte che conosciamo per gli adulti, soprattutto per le donne, per apprendere la lingua che oggi più che mai è necessaria non solo per aprire qualche prospettiva di lavoro, ma anche per il loro compito educativo nei confronti dei figli, delle nuove generazioni.

Ma l’emergenza educativa la possiamo leggere in tanti fenomeni che vanno dagli episodi di cronaca, micro-aggregazioni trasgressive e violente, come dalle cronache del disagio scolastico. Le agenzie educative tutte le incrociano queste povertà, queste forme di disagio e io intravedo la necessità, quasi l’obbligo, che ci sia un lavoro sempre di più fatto insieme. Non possiamo affrontare un fenomeno così ampio a mani nude, ognuno per conto proprio. Dobbiamo attrezzarci insieme.

La povertà

La terza emergenza è quella delle povertà, le povertà al plurale che stanno crescendo. Qualche giorno fa ho sentito dare i numeri da coloro che nelle Caritas parrocchiali incontrano tante persone settimanalmente e sempre di più le povertà raggiungono anche le famiglie e le persone originarie di Piacenza.

Povertà economiche non necessariamente più grandi di una povertà relazionale e di senso che colpisce i più fragili psicologicamente. E oltre ai centri di ascolto, ce ne sono diversi nel nostro territorio, c’è un ascolto da mettere al centro. Credo sia la domanda più importante che io avverto, perché qui non occorre essere specialisti, è necessario essere umani.

Il volontariato

C’è ancora un numero considerevole di persone che vivono il volontariato come scelta di vita, come scelta ordinaria. È una ricchezza, è un patrimonio che non possiamo permetterci di disperdere.

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