Un’organizzazione radicata e pericolosa, la base al campo nomadi di Caorso. Minacce anche al sindaco – AUDIO e IL VIDEO DELL’OPERAZIONE

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Un’organizzazione pericolosa. Anche le minacce al sindaco pur di avere il controllo. Il procuratore capo Salvatore Cappelleri lo ha definito un gruppo dedito a qualsiasi tipo di reato. Parliamo del vasto sodalizio criminale stroncato dai carabinieri di Piacenza e Fiorenzuola. Indagini che, come noto, hanno visto il capitolo finale questa mattina con il maxi blitz nei campi nomadi di Piacenza e Caorso.

Il gruppo dei sinti di Caorso

A capo dell’organizzazione c’era un 52enne, Rocco Bramante, non di origine sinti ma appartenente comunque alla comunità della Bassa. E’ infatti sposato con rito tradizionale sinti a una delle donne più influenti del campo nomadi di Caorso. Il 52enne capeggiava con durezza e pugno di ferro una ventina di nomadi e negli anni era riuscito a creare un sistema molto radicato nella comunità piacentina. I suoi affari, infatti, si basavano sulla collaborazione di due aziende locali.

Il core business dell’organizzazione era il riciclo dei metalli, dal ferro al rame. Metallo che i ladri sottraevano alla stazione ecologica di Caorso, cedendola proprio a questi imprenditori locali che pagavano il 52enne e poi riutilizzavano la refurtiva. “Qualcuno potrebbe pensare che dal metallo gettato in discarica non si possa trarre guadagno. Non è così”. Spiega il procuratore Cappelleri. “Si tratta di metallo che può essere rivenduto a prezzi elevati e il giro di affari era davvero fruttuoso”.

La stazione ecologica era divenuta “proprietà” del gruppo criminale. Il sindaco di Caorso, Roberta Battaglia, stanca dei continui furti, aveva deciso a inizio del 2018 di arruolare un guardiano. Il 52enne provò a corrompere il vigilante ma senza successo. A quel punto sbottò. Dopo aver minacciato lo stesso, il capo dell’organizzazionem arrivò addirittura a minacciare il primo cittadino. Fece irruzione all’interno del municipio e piombò nell’ufficio di Battaglia: “Tu, donna, il controllo della stazione ecologica è mio. Se non mi lasci agire liberamente, Caorso sarà martoriata dai furti”. Questo il tono delle intimidazioni. Tra le persone arrestate, dunque, anche i responsabili delle due aziende colluse.

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Non solo metallo

Come detto dal procuratore Cappelleri, la banda si destreggiava tra crimini di vario tipo. A essere ricettati, infatti, non erano solo metalli e vestiti. Ogni giorno i componenti maschili della comunità sinti partivano e si dedicavano a razzie e saccheggi in varie parti della provincia e non solo, coinvolto anche il Lodigiano e il Cremonese: cascine, abitazioni, automobili, aziende, cantieri. In quattro casi si parla anche di rapine. Al termine delle spedizioni tornavano al campo nomadi di Caorso dove organizzavano la merce dando a ciascun oggetto un prezzo. Poi la refurtiva veniva venduta ai ricettatori. Tanto per dare un’idea del vasto giro di vendita illecita: un telefono cellulare rubato è stato rinvenuto a Serravalle Scrivia, un altro a Genova. Parte della merce, in particolare le armi rubate, veniva invece ceduta in cambio di cocaina, largamente consumata dai membri dell’organizzazione.

Molto attive anche le donne del campo nomadi, che però si dedicavano a tutt’altro genere di lavori. Il fulcro della loro attività consisteva in raggiri ai danni di anziani e persone deboli. Dalla classica truffa porta a porta fino all’estorsione. Alcune di queste erano riuscite a far innamorare uomini “facili” da circuire spingendoli a fare regali o elargire somme di denaro.

In tutto sono 34 le persone arrestate, uomini e donne, 23 di queste condotte in carcere mentre per gli altri sono stati disposti gli arresti domiciliari. In alcuni casi, in manette sono finiti coniugi con figli: sono addirittura 14 i minori affidati dai servizi sociali a case famiglia della zona.

Le perquisizioni di questa mattina si sono estese anche al campo nomadi di Torre della Razza. Anche qui si nascondevano membri e fiancheggiatori dell’organizzazione.

Le indagini

Le indagini condotte dal Nucelo Investigativo dei carabinieri di Piacenza iniziano nel febbraio 2017 e si concludono nell’aprile 2018. Indagini complesse e difficili, condotte con metodi “tradizionali”, senza troppa tecnologia: appostamenti, pedinamenti, intercettazioni telefoniche. “Abbiamo adottato gli stessi metodi abitualmente impiegati nei confronti delle cosche mafiose”. Ha detto il pm Matteo Centini che ha diretto l’indagine . “L’indagine è iniziata partendo da un dubbio. Spesso e volentieri ci ritrovavamo ad arrestare il singolo ladro di origine sinti. Un colpo alla volta, un arresto alla volta. Furti di piccola entità, presi singolarmente, che spesso non garantivano nemmeno la certezza della pena. A quel punto abbiamo pensato. Ma se alla base di tutti questi furti ci fosse un unico progetto criminoso? Abbiamo avviato le indagini e abbiamo scoperto che in effetti era proprio così”. Per i membri dell’organizzazione, infatti, gli inquirenti hanno emesso l’accusa di “associazione a delinquere”.

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