Nel giorno dell’elezione USA proiezione di “Unfit – la psicologia di Donald Trump” al salone Nelson Mandela

Unfit – la psicologia di Donald Trump

Nel giorno dell’elezione USA, martedì 5 novembre, la Camera del Lavoro di Piacenza in collaborazione con Arci Cinemaniaci organizza la proiezione di “Unfit – la psicologia di Donald Trump”, all’interno del ciclo di Cinema al Lavoro che arriva all’ultimo appuntamento annuale. L’invito è come sempre rivolto a tutte e tutti, ingresso gratuito, nel salone Nelson Mandela che è stato “aggiornato” come impianti per una perfetta esperienza cinematografica. L’apertura della sala è prevista alle 21:00 ed il film sarà preceduto da una chiacchierata sulla pellicola e sulle elezioni americane con Vittorio Fusco, vicepresidente Cinemanianci e appassionato americanista e Piero Verani, presidente Cinemaniaci.

Il 5 novembre si svolgeranno le 60esime elezioni presidenziali della storia degli Stati Uniti. Il vincitore delle elezioni presterà giuramento come 47º Presidente degli Stati Uniti al Campidoglio di Washington il 20 gennaio 2025.


IL FILM

A poche ore dalla sua elezione a Presidente degli Stati Uniti, nel 2016, Donald John Trump fa sapere alla stampa tramite il suo portavoce di essere insoddisfatto della copertura mediatica dell’evento, a suo parere distorta perché avrebbe evidenziato una partecipazione minore di cittadini rispetto all’insediamento di Obama. È il primo atto di una strategia di comunicazione aggressiva e compulsiva, fatta di toni autoritari, mimica mussoliniana e linguaggio rozzo e semplificato, dal vivo e sui social, che respinge le ricostruzioni e le tesi diverse dalle proprie come “fake news” e che per tutta la sua presidenza occuperà i media e preoccuperà i democratici di ogni latitudine.

All’approssimarsi delle elezioni di novembre 2020, il regista e produttore Dan Partland interpella diversi psichiatri, psicologi, storici e comunicatori politici per individuare e contestualizzare i motivi che rendono il quarantacinquesimo presidente americano inadatto (“unfit”) al proprio ruolo istituzionale. In maniera clamorosa ma soprattutto pericolosa per la nazione, quindi per il pianeta.

Due volte premiato ai Primetime Emmy Awards (per la serie documentaria American High e il reality show Intervention), Partland incardina il suo lavoro monografico quasi totalmente su interviste ad un mosaico di esperti. In particolare, in quanto fondatore dell’associazione Duty to Warn (“dovere di allarme”) istituita nel 2017 da psichiatri e privati cittadini, parla lo psicologo e psicoterapeuta John Gartner, che attribuisce a Donald Trump la sindrome di “narcisismo maligno”. Identificata a metà anni ’60 da Erich Fromm, tale patologia è descritta come una somma di narcisismo, paranoia, disturbo antisociale di personalità e sadismo. Il punto di partenza ovviamente non può essere il colloquio psichiatrico a tu per tu ma l’osservazione a distanza, facilitata dalla proliferazione di azioni e affermazioni della più alta carica dello Stato. A quasi ogni diagnosi o definizione corrisponde la prova visiva o scritta dei comportamenti pubblici, vale a dire il sintomo.

Intervengono, tra gli altri, l’analista politico Billy Kristol, l’avvocato George Conway, marito della consigliera di Trump Kelly Conway, e l’avvocato Richard Painter, candidato indipendente ed ex consigliere etico sotto l’amministrazione di George W. Bush. Gartner e colleghi sostengono l’irreversibilità e l’estrema rischiosità del disturbo mentale del presidente, definito dallo psicanalista e saggista Justin Frank “sociopatico, sadico, truffatore, razzista, misogino”. Ma anche un mentitore seriale, un cronico trasgressore di norme e un individuo totalmente privo di empatia.

Lo dimostrano le aperte violazioni dei diritti umani, come la politica di separazione di minori e genitori in seguito all’edificazione della barriera tra Messico e California ma anche la serie sbalorditiva di licenziamenti o allontanamenti di collaboratori (consulenti alla comunicazione, inquirenti, chiunque sostenga una narrazione dei fatti a lui sgradita). Per non parlare delle infrazioni fiscali e dei comportamenti misogini sui quali il film, volendo mantenere il focus sulla disfunzione mentale, si sofferma intenzionalmente poco, pur citando in corsa le chiassose interviste con Howard Stern.

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