I carabinieri Forestali di Bobbio, nell’ambito dell’attività di contrasto alla caccia con mezzi illegali, hanno denunciato una persona ritenuta responsabile dell’utilizzo delle cosiddette “ciappe”. Si tratta di trappole costituite essenzialmente da una grossa pietra piatta. Alcuni bastoncini di legno la tengono sollevata. Sotto la pietra sono posizionate delle esche (nel caso in oggetto, costituite da bacche di ginepro e biancospino). L’uccello, attirato dalle esche, urta i bastoncini; questi, alla minima vibrazione, lasciano cadere il masso sopra l’animale, intrappolandolo e causandone la morte per inedia, soffocamento o schiacciamento.
Tale metodo di caccia è rigorosamente vietato dalla Legge 157/1992, ed appare particolarmente crudele stante la lunga agonia cui spesso è soggetto l’animale catturato. Inoltre è un metodo di caccia “non selettivo”, in quanto non è possibile determinare in anticipo la specie di volatile catturata; ciò comporta la possibilità di catturare specie protette, la cui cattura e uccisione sono proibite.
I fatti sono avvenuti in due diverse aree boscate situate nel comune di Coli. Gli accertamenti hanno portato, complessivamente, all’individuazione di quasi 60 “ciappe”.
I militari hanno individuato il responsabile tramite un’accurata e costante attività di osservazione grazie anche all’utilizzo di “fototrappole”. Si tratta di piccoli dispositivi che, nascosti in prossimità di una delle trappole, hanno permesso di realizzare fotografie e video di ottima qualità che hanno permesso il riconoscimento dell’autore di questa pratica illegale. Le immagini ottenute mostrano l’indagato mentre preleva un esemplare di merlo rimasto ucciso dalla “ciappa”; si vede poi la persona indagata che, prima di allontanarsi con il merlo, sistema nuovamente la trappola in modo da prepararla ad entrare nuovamente in funzione.
Sono tre le ipotesi di reato contestate all’autore del fatto: oltre all’esercizio della caccia con mezzi vietati ed all’uccisione di animali, è stata avanzata anche l’accusa di furto aggravato ai danni dello Stato che, come da giurisprudenza ormai consolidatasi negli anni, sussiste nel caso in cui l’autore di tali condotte non sia munito di licenza di caccia. Tale ipotesi di reato trova la sua giustificazione nel fatto che, come recita la legge quadro sulla caccia, “la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale”.
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