La tutela della tradizioni. Di questo si è parlato al PalabancaEventi, in una affollata Sala Corrado Sforza Fogliani, all’incontro su aneddoti e curiosità della cucina piacentina organizzato dalla Banca di Piacenza (ne ha portato i saluti il vicedirettore generale Pietro Boselli) con l’intervento del giornalista Giuseppe Romagnoli e del presidente dell’Accademia della cucina piacentina Mauro Sangermani.
Il prof. Romagnoli ha ricordato il fondamentale ruolo dell’Istituto di credito di via Mazzini nella tutela delle tradizioni locali, grazie soprattutto alla sensibilità del compianto presidente Corrado Sforza Fogliani che la Banca sta mantenendo viva, come dimostra il sostegno al ritorno nella nostra città del concorso della Süppéra d’Argint, competizione tra cuochi gentleman promossa dall’Accademia presieduta dal prof. Sangermani. E come documenta, per esempio, il volume di mons. Guido Tammi (Modi di dire proverbi e detti in dialetto piacentino) edito dalla Banca nel 2018 e distribuito al termine della conferenza a tutti gli intervenuti.
L’opera di Guido Tammi
Pubblicazione che non è solo un’opera di ricerca filologica, ma anche sociologica e di costume, dove ad ogni voce corrisponde un esempio di tradizione piacentina. Il giornalista, sfogliando proprio il Tammi, ha citato alcuni proverbi in dialetto («testimonianze di saggezza popolare») legati al cibo: Chi nega in dl’abbundanza, chi an pö mäi leimpas la panza; Acqua e pan, mangiä da can; L’amur n’è miga puleinta (nel senso che l’amore non è facile da digerire); Chi g’ha i’ anvein cäd mangia miga puleinta frëdda; Brod ad galleina e sciropp ad canteina, l’è la mei madzeina; Al mei dal cappon l’è al buccon dal prett (il sottocoda); Donna bella e vein bon fann di amis darazon; I fasö i’ enn la cäran dal povr’om; Da la tävla an ta leva mäi se la bucca an sa ad furmäi; E’ mei la puleinta a cà sua che i’anvein a cà d’i’ätar; Anca i tuertei mangiä tütt i giuran i’inversan i büdei (finiscono con lo stancare).
Il relatore ha poi citato alcuni detti estrapolati dalla pubblicazione – dallo stesso curata – Vino al vino-Proverbi, tradizioni ed enologia (Gallucci La Spiga editore, Collana PLAN) che riporta una serie di massime cercando di cogliere in alcune gli aspetti scientifici legati alla coltivazione della vite e alla produzione del vino. Tra i proverbi citati, quello che consiglia all’amico di “non sposarsi e prendere la bottiglia” o all’uomo sulla cinquantina di “abbandonare la carne e prendere la via della cantina”. Il prof. Romagnoli ha infine accennato al problema delle ubriacature anche come segnale di un disagio sociale.
La cucina medievale e rinascimentale
Il prof. Sangermani ha dal canto suo snocciolato numerose curiosità sulla storia della cucina medievale e rinascimentale, con incursioni nell’oggi «dove – ha osservato – la gastronomia si è trasformata in gastromania». Dalle parole del presidente dell’Accademia abbiamo appreso che il termine brigata (di cucina, cioè i cuochi che lavorano vicino allo chef) ha derivazione napoleonica: fu infatti l’imperatore francese a creare una brigata all’interno del proprio esercito con il compito di preparare il rancio (prima i singoli soldati dovevano farsi da mangiare, portando con sé un peso eccessivo a livello di attrezzatura). Ancora, nei ricettari del 400-500 e 600 si racconta di banchetti con 60-70 portate. «Sembra un’esagerazione – ha spiegato il prof. Sangermani – in realtà occorre considerare la stratificazione sociale nel Medioevo, per cui c’erano cibi diversi in base alla classe degli invitati.
Il legame tra religione e alimentazione
C’erano così 10 portate per il Signore e i suoi figli, 8-12 per gli ecclesiastici e gli altri nobili e via a scendere, dall’alta borghesia fino alle classi più umili». Detto del legame tra religione e alimentazione (con i giorni di digiuno ed astinenza e quindi con i cibi di magro e quelli grassi) il relatore ha contestualizzato la nascita delle paste ripiene (1100-1200) come cibo dei ricchi (da noi anolini e tortelli la facevano da padrone, con i primi “grassi” e i secondi “magri”) e ricordato che il termine tortello deriva dalla “piccola torta” dei tempi dei Romani.
Il ripieno dei tortelli per le persone senza denti
«Il ripieno dei tortelli – ha aggiunto il prof. Sangermani – è morbido perché nel ‘300 le persone a 40 anni erano già senza denti». Detto che non ci siamo inventati niente, il relatore ha concluso illustrando le cotture dei cibi (bollito, arrosto, fritto): «I cibi, come l’uomo, hanno quattro temperamenti in base al contenuto di umidità: possono essere caldi, freddi, secchi e umidi. La carne di maiale è umida e quindi viene arrostita per togliere appunto l’umidità; il manzo è moderatamente secco, freddo, quindi la cottura migliore è la bollitura. I pesci sono freddi e maledettamente umidi, ecco allora che la miglior cosa è farli friggere».
I professori Romagnoli e Sangermani hanno ricevuto dal vicedirettore Boselli la medaglia della Banca, come segno di ringraziamento per l’interessante serata regalata al numeroso pubblico. Agli intervenuti è stata riservata copia del già citato volume “Modi di dire, proverbi e detti in dialetto piacentino” di mons. Tammi.
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