Tony Capuozzo a Piacenza. “Se vogliamo provare a capire che cosa sta succedendo in Medio Oriente occorre in primis considerare che l’ebraismo e l’islamismo sono due culture religiose che non contemplano il perdono”. Così il giornalista e scrittore ha fatto incursione nella guerra tra Israele e Hamas che in questo ultimo mese ha scalzato dalle prime pagine dei giornali l’altro conflitto tra Russia e Ucraina.
L’occasione, la presentazione di una delle ultime fatiche editoriali del vicedirettore del TG5 Nessuno più canta per strada, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, in dialogo con Antonino Coppolino, presidente dei Liberali Piacentini, Associazione organizzatrice dell’incontro in collaborazione con la Banca di Piacenza. Libro che non parla di guerre, racconta, infatti, l’Italia degli anni Ottanta attraverso una raccolta di articoli dell’autore, ma che in qualche modo con esse c’entra.
“E’ un’opera molto personale, ha esordito l’editorialista de Il Foglio spiegando che non gli è mai piaciuta la definizione di inviato di guerra con la quale viene spesso presentato “ha un vago sapore iettatorio e mio padre era napoletano e avendo cominciato a raccontare conflitti dal finire degli anni ’70 e lasciando ognuno di essi delle cicatrici, ho sempre cercato, tornato dai fronti, di disintossicarmi scrivendo di “storie normali”.
Come quelle raccolte nel volume e catturate nel corso di un viaggio dal Piemonte alla Sicilia con treni locali, passando per Trieste: “Città di mia madre – ha precisato lo scrittore – nata su una nave perché mia nonna lì lavorava. Ed io da ragazzo coltivavo lo stesso desiderio. Poi sono diventato giornalista per caso ho capito che era l’unico modo per pagarmi le passioni che avevo, lo scrivere e il viaggiare”.
L’avv. Coppolino lo ha definito un giornalista (e uomo) libero, come lo era Corrado Sforza Fogliani.
“Forse è vero – ha argomentato Capuozzo – nel senso che non mi è mai interessata la carriera. Se posso ascrivermi un merito, quello di avere una religione dei fatti e di guardarli senza gli occhiali dell’ideologia, come invece tanti fanno in queste ore con la situazione mediorientale. Poi la mia libertà, adesso è figlia della vecchiaia”.
Venendo al libro, l’autore – nell’affermare che “non c’è storia che non sia degna di essere raccontata” – ne ha citata qualcuna di quelle che fotografano “un’Italia che negli anni ’80 diventa a colori con l’arrivo, per esempio, della Tv commerciale che cambia il costume del Paese”.
Sfogliando Nessuno più canta per strada ci si imbatte in una descrizione magistrale (Coppolino) delle condizione degli ergastolani che trascorrevano l’ultima parte della loro vita in una casa di riposo, intrappolati in una ragnatela di rancori “e dove un tentativo di rieducazione non si coglieva; sbagliato considerare la pena come una vendetta” (Capuozzo). Ma si legge anche di storie più leggere, come il matrimonio di Pippo Baudo o il set di un film per adulti tristissimo ovvero della ’ndrangheta calabrese piuttosto che di Rimini, Mazzara del Vallo, Lampedusa, la costa dei sequestri in Sardegna, il paese delle spose in Puglia.
Nel sentirlo parlare un po’ anche di se stesso, abbiamo scoperto che il giornalista ha fatto un po’ di naja a Piacenza e che ha ricevuto qualche tempo fa il Premio della bontà di Rustigazzo inviato in Bosnia, Capuozzo riuscì a portare in Italia, nascondendolo sotto al sedile dell’auto, un bimbo bosniaco di 9 mesi che aveva perso una gamba. Lo fece curare e lo prese in affido. Poi dopo qualche anno quel bambino è tornato in patria “per noi in famiglia furono giorni dolorosi, perché ci eravamo affezionati”.
Non poteva mancare un giudizio sul giornalismo di oggi: “Trovo che spesso – ha osservato l’illustre ospite – la cronaca sia raccontata con morbosità e infarcita di luoghi comuni. Invece, andrebbe fatta senza dimenticare la pietà, senza dare giudizi, rappresentando solo quello che succede. La televisione ha senz’altro contribuito a questa deriva, con programmi che arzigogolano intorno al dolore”.
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