Si raffredda l’apertura degli italiani ai vaccini anti-covid: dubbioso un italiano su tre, il 33%, mentre uno su dieci si dichiara apertamente contrario e addirittura il 30% dichiara apertamente che la terza dose di siero anti-Covid-19 non sia necessaria.
Sono i dati emersi dall’indagine realizzata dall’EngageMinds HUB, il Centro di ricerca dell’Università Cattolica insieme a Serena Barello, Lorenzo Palamenghi, Mariarosaria Savarese e Greta Castellini. La ricerca è parte di un Monitor continuativo sui consumi alimentari e sull’engagement nella salute che rientra nelle attività del progetto CRAFT (CRemona Agri-Food Technologies) e di Ircaf (Centro di riferimento Agro-Alimentare Romeo ed Enrica Invernizzi). È stata condotta su un campione di oltre 6000 italiani, rappresentativo della popolazione per sesso, età, appartenenza geografica e occupazione.
Si tratta di dati importanti, perché se in queste settimane, esperti e autorità stanno lavorando su chi può accedere alla terza dose, sulle categorie prioritarie di cittadini, in che tempi procedere, forse c’è una questione che le precede tutte: chi ha intenzione di farla? Ed è precisamente da questa domanda che è partita la rilevazione di EngageMinds HUB – parte di un monitor continuativo lanciato a fine febbraio 2020 (dunque a inizio pandemia) per osservare e comprendere i comportamenti della popolazione italiana su molti aspetti di questa lunga crisi pandemica.
«Questo 33% di italiani che hanno poca o nessuna intenzione di sottoporsi alla terza dose – commenta la professoressa Guendalina Graffigna, Ordinario di Psicologia della salute e direttore dell’EngageMinds HUB – deve far riflettere, perché non si tratta di no-vax, visto che sono già regolarmente vaccinati. Inoltre, dai dati emerge che questa espressione di forte scetticismo rispetto all’ulteriore immunizzazione è un’inclinazione omogenea nella popolazione, non si riscontrano infatti differenze tra sesso, fasce di età, provenienza geografica e titolo di studio; un fatto non frequente in questo tipo di rilevazioni. Ciò che impatta, e questo non sorprende – prosegue Graffigna – è che chi risulta avere poca fiducia verso la scienza e il sistema sanitario è ancora meno propenso a vaccinarsi per la terza volta».
E non è tutto, più della metà del campione (54%) indica che a questo punto, dopo aver immunizzato con due dosi molti italiani, la priorità andrebbe data alla distribuzione dei vaccini nei paesi poveri del Mondo. Una frazione che sale al 60% nelle donne e, invece, scende al 49% negli uomini. E d’altro canto il 56% non è convinto che un’ulteriore immunizzazione possa tutelare maggiormente chi è già vaccinato; un atteggiamento che però è meno presente tra i senior (over 60 anni). E addirittura il 30% dichiara apertamente che la terza dose di siero anti-Covid-19 non sia necessaria.
“Gli individui che presentano uno stato di malessere psicologico e che percepiscono un rischio economico e di contagio – spiega l’esperta – sono maggiormente in accordo nel ritenere che la terza dose del vaccino non sia necessaria. Questo appare paradossale ma dal punto di vista psicologico è comprensibile: chi ha sofferto/sta soffrendo di più per via della pandemia appare anche psicologicamente più affaticato, stanco e meno resiliente. Si tratta probabilmente di chi ha nutrito le maggiori aspettative (irrealistiche) di trovare una soluzione definitiva e rapida per uscire dalla pandemia. Sono persone che nutrivano la speranza (in parte irrealistica) che i vaccini potessero essere una soluzione “quasi magica” per uscire dalla pandemia – aggiunge. Speranze legittime e comprensibili, ma a cui hanno fatto incautamente l’occhiolino comunicazioni troppo ottimistiche all’inizio della campagna vaccinale, che non hanno chiaramente prospettato la possibilità di un richiamo delle vaccinazioni. Insomma: da una parte aspettative troppo irrealistiche della popolazione. Dall’altra comunicazioni troppo seduttive e timorose che rappresentare sin da subito la probabilità di un richiamo avrebbe inficiato la motivazione a vaccinarci”, conclude.
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