Team del Cersi al Cibus, la manifestazione di riferimento per il settore agroalimentare Made in Italy, si è aperta a Parma martedì 7 maggio con il taglio del nastro di Adolfo Urso, ministro del Made in Italy e delle imprese, e di Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.
E in questa speciale occasione è stato presentato lo studio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, curato dal Centro di ricerca per lo Sviluppo imprenditoriale (Cersi) della Facoltà di Economia e Giurisprudenza, nella Sede di Piacenza-Cremona dell’ateneo.
Il report, che nasce grazie all’Osservatorio sul settore Food, affidato proprio al Cersi in collaborazione con Fiere di Parma, ha messo evidenzia che nel decennio 2013 – 2023 la crescita italiana nell’export agrifood è stata del 27%, rispetto al 12% della media europea. Un risultato che ha portato i prodotti agroalimentari italiani venduti all’estero a sfiorare i 64 miliardi di dollari, circa il 10% dell’export europeo (679 miliardi di dollari), collocando il nostro Paese al quarto posto nel 2023 per sviluppo dell’export in Europa.
“Questi dati suggeriscono che, in un contesto macroeconomico e in un arco temporale caratterizzato da grande incertezza su tanti fronti, le imprese italiane del settore agroalimentare hanno mostrato grande capacità di adattamento ai cambiamenti nell’ambiente – afferma Fabio Antoldi, professore di Strategia aziendale e imprenditorialità all’Università Cattolica e direttore del Cersi, che ha presentato lo studio a Fiere di Parma insieme a Daniele Cerrato, docente di Economia aziendale e International business all’Università Cattolica – Le nostre aziende sono state in grado di sostenere e sviluppare la propria competitività sui mercati internazionali più di quanto non sia accaduto in altri Paesi europei”.
“In un’economia fortemente integrata a livello globale – prosegue Antoldi – il punto di contatto più evidente tra le misurazioni a livello micro e quelle a livello macro della competitività è l’attenzione alla propensione all’export delle imprese e dei territori. Un’alta propensione all’export, infatti, dimostra la capacità degli attori economici di essere parte attiva dell’interscambio internazionale di prodotti e servizi. Per questo, per analizzare la competitività si parte spesso dall’analisi dei dati degli scambi internazionali”.
I docenti dell’Università Cattolica hanno incentrato la relazione su un’analisi comparata dell’export italiano di prodotti sui mercati internazionali. E hanno esteso l’analisi su un arco di dieci anni per evidenziare l’evoluzione strutturale della performance del nostro Paese.
“Abbiamo avuto modo di osservare che nell’ultimo decennio anche l’export alimentare, così come l’economia mondiale, ha conosciuto cambiamenti strutturali importanti, inclusi alcuni shock esogeni – ha commentato Daniele Cerrato Da questo punto di vista, gli anni dal 2015 in poi mostrano una crescente importanza da un lato del cambiamento climatico sulla produzione, dall’altro dei fattori geopolitici sul commercio internazionale, chiudendo alcuni canali e aprendone altri. Anche il dato inflattivo è tornato a farsi sentire dopo anni”.
I dati, sostengono i docenti dell’Università Cattolica, mostrano che l’Europa si conferma il principale esportatore mondiale. La sua leadership è ancora incontrastata, anche se altre regioni del mondo sembrano avanzare a un tasso più rapido. Emergono poi significative differenze di performance tra i Paesi europei. Quella italiana «è il frutto di un tessuto imprenditoriale di successo, solido e per lo più formato da imprese familiari, in gran parte di dimensioni medie e caratterizzate da forti e profonde radici nei territori».
Una imprenditorialità che ha saputo cogliere le opportunità di sviluppo nei mercati esteri e che «ha mostrato visione strategica e orientamento di lungo termine». L’Italia si conferma terra di eccellenza. Ma «la competitività internazionale delle imprese non può prescindere dalla loro capacità di servire il mercato domestico» perché per mantenere le posizioni di vantaggio competitivo «occorre rafforzare anche la domanda interna». E saranno proprio questi elementi ad essere approfonditi dall’Osservatorio sul settore Food. Con il quale, anticipano Antoldi e Cerrato, «contiamo di offrire nei prossimi mesi analisi ancora più puntuali, per Paese e per categorie di prodotto».
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