Si è concluso con una vera e propria lezione tenuta dal prof. Stefano Zamagni – con la consueta profondità di pensiero e capacità d’analisi – sul tema “Lo spirito d’intrapresa ed il fattore personale nel nuovo mondo del dopo virus”, il ciclo di conferenze organizzate dalla Banca di Piacenza a Palazzo Galli su come il virus Corona ci ha cambiato la vita.
Il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali – presentato da Robert Gionelli – ha dapprima individuato due grandi errori commessi (non solo da noi italiani, ma dal mondo intero) nella gestione della pandemia. Un primo legato alla mancanza di prudenza («la virtù che ci permette di anticipare gli eventi guardando avanti nel tempo»), perché uno studio americano aveva annunciato la pandemia già 7 anni fa.
«Non solo – ha aggiunto l’economista -: un rapporto dell’Oms del 2019 aveva paventato al mondo intero un rischio contagio, invitando i Governi a premunirsi. Nessuno si è mosso per tempo e il risultato si è visto: ci siamo fatti trovare privi di mascherine, respiratori e via elencando. L’imprudenza – ha detto il prof. Zamagni – è figlia della stupidità umana».
L’altro grande errore è stato quello di aver ignorato il principio di sussidiarietà nell’affrontare la pandemia. «Si è cercato – ha spiegato il relatore – di gestirla a livello pubblico, senza collegamento con la società civile (mondo delle imprese e terzo settore). In questo modo il governo ha perso tempo e soldi per fare cose che altri soggetti avrebbero fatto meglio. C’è stata una gestione centralistica».
Il prof. Zamagni ha quindi ricordato i quattro scenari che si aprono di fronte a noi nella fase post Covid. Il primo è disegnato da coloro che pensano che passata l’emergenza tutto torni come prima (si cita in questo caso la metafora del tunnel: stiamo vedendo l’uscita e torneremo alla fase precedente). «Non è così – ha commentato l’oratore – perché le pandemie non lasciano mai le cose uguali a prima. Il termine recovery found è infatti sbagliato, si deve parlare di fondi per la next generation».
Il secondo (scenario) prende le mosse da quanto accaduto in Cina, il Paese dove la pandemia è scoppiata e dove se ne è usciti prima perché lì c’è un regime oligarchico con un solo partito. «Il risultato è che nella scelta tra sicurezza e libertà vince sempre la prima. Episodi come le recenti proteste di Napoli e Roma, là sono impensabili. Ma mi chiedo: a che serve avere sicurezza se perdo la libertà?». C’è poi una servitù digitale che sta guadagnando terreno e che arriva dagli Stati Uniti: per difendere la nostra salute dobbiamo affidarci agli algoritmi, all’intelligenza artificiale. Nel quarto scenario individuato dal prof. Zamagni si parla di “resilienza trasformativa”: quali sono – si è domandato – le trasformazioni da attivare se vogliamo aumentare il nostro grado di resilienza, vale a dire la capacità di far fronte alle avversità, visto e considerato che il virus Corona non sarà l’ultima pandemia della storia? (la prossima, ha fatto sapere il relatore, è prevista fra una decina d’anni e nella primavera 2021 avremo una terza ondata del virus Corona, meno grave perché perderà potenza).
Quattro i pezzi della macchina-Italia da trasformare per far fronte alla future avversità («ricordatevi che le riforme non servono a nulla, sono solo dei cerotti»). Prima di tutto va snellita la burocrazia (la nostra è la più inefficiente e costosa d’Europa): «Il peccato originale – ha argomentato l’economista – è che i burocrati italiani sono valutati per il rispetto delle procedure e non i risultati che ottengono, una vera bestemmia che offende il buon senso. Sapete quante sono in Italia le leggi, cioè il pane di cui si nutre la burocrazia? 160mila. In Germania siamo a 7mila. Cambiare è possibile, ma bisogna volerlo».
Da trasformare anche la filosofia del sistema fiscale, che non deve penalizzare i soggetti produttivi bensì coloro che vivono di rendita («la quota di rendita del nostro Pil è al 32%, a scapito delle imprese che non investono e delle famiglie che hanno una minor capacità di spesa»). Stesso processo trasformativo deve riguardare il modello di welfare, che da assistenzialistico va trasformato in generativo: uno strumento che non solo aiuti sul momento chi ha bisogno, ma che lo faccia uscire dal bisogno stesso.
Dopo aver giudicato la sanità ospedalocentrica «profondamente sbagliata», il prof. Zamagni ha illustrato il quarto processo di trasformazione, che deve cambiare l’impostazione filosofica della scuola, dell’università e della ricerca. «E’ ora di finirla con il modello organizzativo taylorista, gerarchico. Gli studenti non devono essere trattati con arroganza. I giovani non vanno volentieri a scuola perché hanno la sensazione di entrare in un tribunale dove un giudice (il professore) li interroga. Gli studenti vanno coinvolti nel processo di apprendimento e il ruolo dell’insegnante è quello di aiutarli a comprendere, magari cercando di tirar fuori tutto quello che sanno, ma non riescono a esternalizzare. Imparare divertendosi è possibile».
«Sono convinto – ha concluso il prof. Zamagni, che ha promesso di tornare, come ha già fatto altre volte dimostrando grande disponibilità, a Piacenza in presenza ed invitato la Banca a proseguire con queste iniziative perché la gente ha bisogno di spunti sui quali riflettere – che il prossimo anno queste trasformazioni saranno attuate, perché le grandi sofferenze insegnano».
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