Il leader della Lega Matteo Salvini è stato contestato al suo arrivo alla stazione Przemysl, la cittadina ad una decina di chilometri al confine con l’Ucraina. Il sindaco della città Wojciech Bakun ha prima ringraziato l’Italia e poi ha mostrato una maglietta con il volto di Putin e rivolgendosi a Salvini ha detto: “Io non la ricevo, venga con me al confine a condannarlo”.
Anche due italiani, presenti in quel momento, hanno contestato il leader leghista urlando: “Buffone”. Salvini non ha raccolto la provocazione dicendo di essere lì per portare “aiuti e la pace”.
Ebbene, i due italiani autori della contestazione al leader della Lega sono due fotografi piacentini, giunti in Polonia nel contesto di una spedizione benefica, mirata a portare beni di prima necessità e medicinali ai profughi presenti al confine con l’Ucraina: si tratta di Sergio Ferri e Marco Salami.
“Non ci interessa la polemica della sinistra italiana o polacca, siamo qui per aiutare chi scappa dalla guerra”, ha replicato Matteo Salvini dopo la contestazione alla stazione di Przemysl.
Il commento di Matteo Rancan
Matteo Rancan, consigliere regionale della Lega, interviene su Facebook con un lungo post.
Recapitare beni e farmaci ai profughi o urlare a Salvini?
Mi riferiscono che i due italiani che appaiono nel video in cui Salvini viene insultato sono due fotografi piacentini, i quali dovrebbero essere dove sono per documentare quello che sta accadendo.
Sono partiti qualche giorno fa con buone intenzioni: recapitare beni di prima necessità e farmaci ai profughi. Ma poi hanno preferito dedicarsi alle offese.
Al netto di come la si possa pensare, ritengo che questo comportamento faccia rilevare la malafede di chi collabora anche con testate giornalistiche locali.
Io, da rappresentante politico, mi aspetto un atteggiamento corretto e obiettivo da parte di chi deve riportare le informazioni.
Chi produce “reportage” ma parte politicamente prevenuto, fino ad arrivare ad urlare “buffone” a questo o quel rappresentante delle istituzioni, almeno lo faccia dopo essersi tolto la casacca da arbitro.
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