Rivoluzionario studio della Cattolica, dagli scarti dei batteri di latticini e altri cibi arrivano i fertilizzanti “bio-green”

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Ricercatori dell’Università Cattolica, campus di Piacenza, hanno sviluppato un nuovo fertilizzante ‘bio e green’ dagli scarti della filiera alimentare, precisamente dagli scarti delle produzioni dei batteri lattici che attualmente vengono eliminati attraverso dei processi di depurazione.

È il risultato che arriva da uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Land e coordinato dal Pier Sandro Cocconcelli, professore di Microbiologia degli Alimenti presso la Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università Cattolica e Edoardo Puglisi del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari per una filiera agro-alimentare Sostenibile – DiSTAS. Lo studio è stato svolto in collaborazione con l’azienda Sacco srl di Cadorago (CO) e il Centro di saggio agronomico LandLab srl di quinto Vicentino (VI) e ha visto coinvolto come primo autore Gabriele Bellotti, dottorando di ricerca della Scuola Agrisystem dell’Università Cattolica.

BATTERI LATTICI

I batteri lattici sono un gruppo di microrganismi in grado di fermentare diversi substrati, dando origine a numerosi prodotti di interesse per il settore agroalimentare e industriale. Tra i vari alimenti per la cui produzione sono coinvolti i batteri lattici troviamo formaggi, latti fermentati, insaccati.

 “I batteri lattici – afferma il professor Cocconcelli – si producono a uso alimentare e nutraceutico, per produrre cibi, bevande e probiotici. Normalmente gli scarti dei terreni di coltura utilizzati nella produzione dei batteri lattici vengono smaltiti in impianti di depurazione; si tratta di diverse migliaia di tonnellate di scarti prodotti ogni anno in Italia”.

FERTILIZZANTI CHIMICI, AD ALTO IMPATTO AMBIENTALE

“Il settore delle produzioni vegetali agrarie è soggetto a nuove e complesse sfide determinate anche da congiunture internazionali di carattere economico e geopolitico – sottolinea il professor Pier Sandro Cocconcelli -, nonché da una sempre maggiore attenzione di cittadini e consumatori verso la tutela dell’ambiente. La Commissione Europea si è infatti impegnata con la strategia Farm to Fork entro il 2030 a ridurre del 20% l’uso di fertilizzanti, del 50% le perdite di nutrienti dal suolo e del 50% l’utilizzo dei pesticidi chimici. In parallelo, la situazione geopolitica e in particolare modo il conflitto in Ucraina hanno fortemente alzato prezzi delle materie prime utilizzate in agricoltura, a partire dai fertilizzanti chimici. “In questo scenario diventano fondamentali gli approcci di economia circolare, volti a valorizzare scarti industriali minimizzando gli sprechi e riducendo la dipendenza da input esterni”, afferma il professor Cocconcelli.

LO STUDIO

I ricercatori piacentini dell’Università Cattolica hanno mostrato come sia possibile utilizzare virtuosamente gli scarti della produzione industriale dei batteri lattici come fertilizzanti e biostimolanti in agricoltura. Nello specifico le prove hanno riguardato la coltivazione in serra di pomodoro e lattuga e dimostrato come l’utilizzo di questi scarti industriali permette di ridurre del 30% il quantitativo di fertilizzanti chimici azotati, senza ridurre in alcun modo la produzione e migliorando anche alcune caratteristiche fisiologiche della pianta.  Inoltre, si stima che potremmo ridurre del 40% le emissioni di gas serra associati alla produzione dei fertilizzanti chimici. “Approfondite analisi di carattere chimico, microbiologico ed ecotossicologico hanno escluso qualsiasi impatto negativo sull’ambiente e sul suolo, evidenziando anzi effetti di promozione dei microrganismi utili alla crescita ed alla difesa della pianta”, spiega il professor Edoardo Puglisi. L’attività degli scarti è risultata maggiore quando applicati al suolo, ma si stanno progettando applicazioni anche su foglia e frutto.Il vantaggio di utilizzare questo fertilizzante sarebbe quello di nutrire contemporaneamente la pianta (con nutrienti diretti ed indiretti), i batteri che hanno effetti positivi per la pianta nel suolo, e il suolo stesso (arricchendo la percentuale di umificazione del suolo). “Si tratterebbe quindi di un fertilizzante ecologico nel più ampio senso possibile, volto cioè a stimolare un intero sistema e non un solo organismo a scapito di altri”, sottolinea il professor Cocconcelli.  “Questo studio mostra la capacità della ricerca del settore agrario di fornire rapidamente soluzioni alle emergenze contingenti del settore – conclude il professor Puglisi -; è inoltre un virtuoso esempio di trasferimento tecnologico, dimostrato dal fatto che la azienda Sacco srl coinvolta nel progetto sta ora già valorizzando con questo approccio più di 700 tonnellate l’anno di residui del loro processo produttivo”.

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