«Ricordo che per farmi stare fermo mentre ero in posa, mia madre mi raccontava la favola di Pinocchio». Sono passati 66 anni da quando Rinaldo Bertucci ha fatto da modello al padre Giacomo; il protagonista della mostra ancora per pochi giorni a Palazzo Galli della Banca di Piacenza (chiusura, 19 gennaio). Modello per il quadro, immagine simbolo della mostra stessa. Rinaldo oggi di anni ne ha 71 ed è un medico in pensione, ma la somiglianza con quel bimbo di 5 anni con i calzoni corti è ancora evidente. Durante l’inaugurazione della mostra gli abbiamo chiesto di posare di nuovo, questa volta solo per pochi secondi, davanti al quadro e alla locandina per documentare il “prima” e il “dopo”.
E sfogliando l’album dei ricordi la mente del dott. Rinaldo è andata a quando, sempre bambino, aveva il privilegio di giocare – unico – nell’orto botanico di Brera, perché il papà aveva ricavato il suo studio nella casetta di legno del giardiniere; e a quando il prof. Arisi («che aveva molta stima di mio padre») gli scrisse una bellissima lettera perché voleva realizzare una mostra dedicata al pittore, «ma all’epoca ero molto impegnato nella mia professione di medico e ho continuato a rimandare, fino all’incontro (e siamo arrivati ai giorni nostri, ndr) con il presidente Sforza Fogliani, che ho conosciuto a Castell’Arquato durante una Collettiva dove era presente qualche opera di mio padre.
Gli ho espresso il desiderio di realizzare la volontà di Arisi e sono stato accontentato. Tenevo molto a questa mostra e ringrazio la Banca e tutti quelli che con il loro lavoro l’hanno resa possibile».
L’allievo Cavalloni
Tra gli ex allievi di Giacomo Bertucci al Gazzola c’era anche Maurizio Cavalloni, pure lui intercettato dall’obiettivo del fotografo, davanti al ritratto che il suo professore gli fece tra il 1968 e il 1969. Anche in questo caso, tra “il prima” e “il dopo” la somiglianza sopravvive al tempo (50 anni) trascorso. «E’ stato anche ascoltando il suo parere – testimonia Maurizio Cavalloni nelle pagine del catalogo su Bertucci libro strenna della Banca – che sono diventato fotografo.
Durante l’estate noi ragazzi eravamo soliti impegnarci in lavoretti estivi. Io, in particolare, avevo iniziato a fare l’aiutante di Gianni Croce, affermato fotografo che nel 1921 aveva aperto il suo studio in Corso Vittorio Emanuele. Croce decise che avrei dovuto essere io a raccogliere la sua eredità, ma non ne ero affatto convinto. Fu così che si alleò con il mio professore; Bertucci allora mi spiegò che la possibilità che mi offriva Croce era una grande opportunità che non dovevo assolutamente sprecare».
Cavalloni fu assunto da Croce nel 1970 e questo nel ’76 gli cedette lo studio fotografico con il suo patrimonio di immagini. Patrimonio che nel tempo ha arricchito arrivando a creare il “Museo per la fotografia e la comunicazione visiva di Piacenza”, uno strumento per raccogliere, catalogare e salvaguardare l’ingente patrimonio di immagini di Piacenza e provincia. All’inizio del 2019 Cavalloni ha ceduto l’attività e gli archivi storici a Rocco Ferrari, già suo aiutante e diplomato all’Accademia Teatro alla Scala.
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