L’Associazione Italia Nostra, “con grande rammarico e meraviglia, legge l’intenzione di questa Amministrazione di trasformare Piazza Cittadella e Piazza Casali demolendo l’edificio del Mercato Coperto per liberare alla vista del pubblico la parte absidale della Chiesa del Carmine. Questa operazione, probabile preludio ad altre demolizioni dei fabbricati presenti nell’area, avrà come immediata conseguenza il trasferimento dell’attività del mercato alimentare all’interno delle Scuderie di Maria Luigia, già date dal Demanio Militare a disposizione dell’Amministrazione Comunale”.
Le Scuderie di Maria Luigia non sono però semplicemente dei rustici o delle stalle come quelle dei bovini che siamo abituati a vedere nelle nostre campagne e che qualche imprenditore ha riconvertito in piacevoli sale di ristorazione salvandole dal degrado, come è successo in molti agriturismi. Le Scuderie di Maria Luigia sono un’architettura neoclassica che ha origini più antiche. Il Duca Odoardo Farnese fece erigere nel 1646 una prima costruzione per utilizzarla come Teatro Ducale. Sul sedime dei resti del teatro sorse l’attuale costruzione che ha planimetria rettangolare ed è suddivisa internamente in tre navate ognuna ripartita a sua volta in sette campate con doppie file di colonne in granito prive di basamento ma sormontate da capitelli. Per ognuna delle 42 nicchie, che erano le postazioni dei cavalli, vi sono gli abbeveratoi modellati in marmo rosa di Carrara e le greppie a rastrelliera.
Un’opera di una eleganza ed armonia unica che crea un’immagine suggestiva soprattutto perché inserita nel luogo farnesiano fra i più densi di storia della nostra città e che meriterebbe una valorizzazione ben diversa da quella prevista, nella consapevolezza che non devono essere le mere esigenze materiali a dettare le regole del restauro e della salvaguardia. Apprendiamo che vi è quindi un susseguirsi di operazioni che poco hanno a che fare con la tutela e la salvaguardia di uno dei comparti più interessanti della nostra città. Ricordiamo infatti che, se il restauro della chiesa del Carmine ha magistralmente riportato alla luce l’originalità di una struttura gotica d’Oltralpe rarissima nel nostro territorio, qualcuno poi ha deciso in virtù del riuso, inaspettatamente ed ingiustificatamente, di trasformarla morfologicamente ribaltandone l’assetto originario. L’asse visivo e di percorrenza, anche per le simbologie liturgiche, era da Via Borghetto a Piazza Casali e non viceversa; creando l’ingresso principale dal presbiterio, si è sminuito il valore del sagrato su via Borghetto e ancora si è proceduto con la costruzione di un solettone che pare nel progetto fosse ritenuto necessario come volume tecnologico e conseguentemente autorizzato solo per fini d’agibilità impiantistica e che avrebbe dovuto essere totalmente removibile e non per un uso permanente come è ora.
Orizzontalizzando e mortificando il verticalismo delle arcate gotiche della chiesa , si è anche annientato lo slancio dell’arco a “lancetta”, elemento strutturale particolarmente importante nel gotico nordico e presente nella chiesa del Carmine. Eppure la chiesa del Carmine per il suo carattere formale originario ed unico sarebbe stato un luogo talmente magico capace di richiamare l’interesse culturale di mezzo mondo senza la necessità di trovarne una nuova destinazione per esaltarne il suo prestigio. E’ infatti un’architettura medioevale religiosa unica nel nostro territorio perché in Italia, sostanzialmente, l’architettura gotica subisce le influenze mediterranee delle nostre terre che le danno un minor verticalismo rispetto alle nazioni nordiche, dove il gotico peraltro nasce. Ora si vuol procedere perseverando negli errori, gratificati da immagini di location prestigiose dal design di sapore internazionale e giuste sedi per affascinanti eventi esclusivi, innovativi per la grande qualità. Al Carmine ora, così trasformato, sembra mancare solo un degno affaccio sulla piazza pubblica e quindi si vuole inventare un ingresso altrettanto attraente sacrificando il mercato coperto esistente che, invece, potrebbe proprio essere utilizzato, senza colpo ferire, come “luogo ideale per promuovere le nostre tipicità realizzando un progetto in linea con le tendenze europee che negli storici mercati coperti vedono anche un luogo di consumo”.
Nel contempo Piacenza ha perso un’opera unica dal valore culturale ed architettonico inestimabile. L’effetto di questa manomissione generale di un luogo prezioso in cui troviamo, oltre al Carmine ed a Palazzo Farnese, anche tutte le pertinenze della Caserma Nicolai con l’ex convento di San Sisto e le Scuderie di Maria Luigia, non è previsto dalle norme del codice dei Beni Culturali che dispongono la tutela delle piazze e delle pubbliche vie storiche vietandone infatti ogni trasformazione. Il fascino delle invenzioni con l’esercizio del riuso riserviamolo per quei contenitori che non hanno storia ma che possono rivivere con una riqualificazione sapiente. Non permettiamoci di rischiare di interferire con interventi destinati ad usi incongrui in opere architettoniche che, per il loro grande pregio artistico, per essere ammirati non necessitano di abbellimenti nostrani ma solo di essere conosciuti. Invitiamo chi si sta assumendo la responsabilità della modifica permanente di Beni Culturali che appartengono non al singolo, nè alle Amministrazioni ma alla cittadinanza tutta, di ripensare con attenzione a queste scelte irreversibili anche alla luce delle recenti demolizioni degli edifici razionalisti della ex Camuzzi e del Mercato Ortofrutticolo operate con il principio del “senza se e senza ma” e soprattutto senza l’ascolto di chi aveva proposte differenti.
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