Riceviamo e pubblichiamo la nota di Michele Giardino, consigliere comunale del Gruppo Misto.
Non sono contrario alla regolarizzazione dei lavoratori stranieri. È la dignità umana di ciascuno di loro, prima ancora del valore che il loro lavoro aggiunge alla nostra economia, a esigere un atto di rispetto. Svolgono una miriade di mestieri che i nostri giovani non hanno più voglia di fare e senza i quali molti nostri comparti sarebbero in ginocchio.
Lo vediamo in questi giorni con la penuria di braccianti per la raccolta dei prodotti agricoli e lo vedremmo se tutte le badanti presenti sul territorio nazionale decidessero di abbandonare le nostre famiglie. Non sono ologrammi, fantasmi di cui possiamo disinteressarci. Al contrario, sono persone umane, in carne e ossa, che abbiamo il dovere di liberare dalla condizione di sub-umanità in cui vivono, spesso ai margini delle nostre città. Per questo ho atteso con interesse la norma del Decreto Rilancia Italia ad essi dedicata.
L’articolo 103 del Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34 prevede due tipi di regolarizzazione. La prima è rivolta ai datori di lavoro che possono, così, dichiarare la sussistenza di un rapporto irregolare; la seconda è rivolta agli immigrati che abbiano un permesso di soggiorno scaduto dallo scorso 31 ottobre 2019, per chiedere un nuovo permesso di soggiorno della durata di 6 mesi, necessario a trovare un nuovo lavoro.
I settori lavorativi interessati sono: agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca (braccianti); badanti e colf. Per ogni lavoratore regolarizzato, il datore dovrà pagare 500 euro; invece 130 euro saranno a carico del lavoratore straniero con permesso scaduto. In più è fissato un forfait da parte del datore di lavoro a titolo retributivo, contributivo e fiscale, che andrà determinato successivamente. Secondo il Governo, il numero di domande potrebbe attestarsi intorno a 220 mila (a fronte delle circa 600mila persone che vivono nel nostro Paese senza un regolare permesso): 176 mila da parte dei datori e 44 mila dai cittadini stranieri con permesso scaduto. Le entrate nelle casse dello Stato ammonterebbero a 94 milioni di euro circa.
Per i datori che faranno emergere rapporti di lavoro, è previsto lo scudo penale cioè l’estinzione dei procedimenti connessi all’utilizzo in nero di lavoratori. Saranno respinte le domande dei datori che sono stati condannati in passato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina o riduzione in schiavitù, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro o se i lavoratori non saranno assunti in seguito alla regolarizzazione. Sono esclusi gli stranieri che sono stati toccati da un decreto di espulsione, quelli che sono stati condannati anche in via non definitiva per uno dei reati contro la libertà personale, per il traffico di stupefacenti, per lo sfruttamento della prostituzione, per il favoreggiamento dell’immigrazione o dell’emigrazione clandestina.
Normativa coraggiosa? Nella misura in cui prende il toro per le corna e affronta il problema a muso duro, certamente sì. Per tutto quanto non previsto o disciplinato in modo ingenuo, evidentemente no.
Intanto, non si comprende perché questa possibilità sia stata limitata soltanto alle tre categorie indicate e non a tutti i settori produttivi (si pensi al settore turistico, solo per fare un esempio). La garanzia di un contratto – in qualsiasi ambito – è elemento necessario e sufficiente perché la persona assunta possa vivere dignitosamente la sua vita e contribuire alla crescita economica della società di cui fa parte. Questa esclusione non ha spiegazione, se l’obiettivo della misura è il contrasto dell’invisibilità, con tutte le gravi conseguenze sul piano economico, sanitario e di sicurezza sociale che tale condizione comporta.
Poi c’è da chiedersi che senso abbia prevedere il pagamento di 130 euro a carico dello straniero con permesso scaduto e privo di lavoro. I più onesti non presenteranno la domanda e resteranno nell’ombra, i più spregiudicati si procureranno la somma in ogni modo, anche ricorrendo all’illecito.
Ma sopra a tutte, questa domanda: ministro Bellanova, lei che viene dal Sud ed è profonda conoscitrice di quel mondo, pensa davvero che nel settore agricolo e zootecnico del Meridione d’Italia la mentalità dei datori di lavoro sia illuminata al punto da intravvedere nella regolarizzazione anche un proprio interesse? L’operazione è favorevole per il lavoratore, è favorevole per lo Stato, ma per l’imprenditore agricolo sembra presentare più oneri che vantaggi. Io, da uomo del Sud, temo che la mera petizione di principio – di una società migliore e più civile – non basterà a far scattare la molla. Ma non sa che piacere avrei se i fatti dovessero smentirmi!
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