«Nella Repubblica italiana sono ormai 71 anni che la nobiltà non ha riconoscimento giuridico. Eppure, nella nostra epoca tutti vogliono sentirsi nobili; una tendenza che porta a una miriade di falsificazioni genealogiche. Ecco perché non credo alle genealogie presentate dalle famiglie, di cui è sempre bene diffidare controllandone l’attendibilità».
E’ uno dei pensieri espressi da Pier Felice degli Uberti, tra i massimi esperti di genealogia, presidente della Confédération Internationale de Généalogie et d’Héraldique e dell’Istituto Araldico Genealogico Italiano, ospite a Palazzo Galli della Banca di Piacenza per trattare dell’evoluzione storica dei ceti dominanti e dirigenti e la loro trasformazione nella Repubblica italiana in Famiglie storiche, con considerazioni sulla nobiltà e para-nobiltà nel XXI secolo.
L’illustre relatore è stato introdotto da Carlo Emanuele Manfredi, il cui casato è stato portato, dal dott. Degli Uberti, come esempio di Famiglia storica ideale perché all’altezza del nome che porta: per gli antenati che hanno fatto la storia d’Italia e per lo stesso dott. Carlo Emanuele, una delle pochissime Guardie nobili di sua Santità.
Il relatore – dopo aver premesso che la nobiltà esiste ed ha rilevanza solo in ambito pubblico – ha definito i concetti di ceto dominante (la classe sociale che anche indirettamente domina detenendo il potere politico di una nazione), ceto dirigente (la classe sociale che domina le strutture politiche, economiche, sociali e culturali di una nazione) ed élite (un gruppo di persone, spesso una minoranza, in possesso di autorità, potere, influenza sociale e politica), concetti che dovrebbero rappresentare quello che è stata la nobiltà nei secoli passati. «Un’idea da cui dissento – ha affermato l’oratore – perché in Svizzera, per esempio, non c’è nobiltà ma c’è ceto dominante; i tre concetti sono invece determinanti per riconoscere senza ombra di dubbio le Famiglie storiche».
Ma che cos’è realmente la nobiltà? «Il termine – ha chiarito il dott. Degli Uberti – ha un duplice significato: indica sia uno status privilegiato riconosciuto dall’autorità, sia l’insieme dei soggetti che beneficiano di tale condizione. Con riferimento a quest’ultima accezione, lo storico Marc Bloch definisce nobiltà “la classe dominante che abbia uno statuto giuridico suo proprio che confermi e materializzi la superiorità che essa pretende e, in secondo luogo, che tale statuto si perpetui per via ereditaria”». La nobiltà va divisa in due grandi periodi: prima e dopo Napoleone. Nel primo, a partire dal Medioevo, per avere accesso alla nobiltà si poteva andare a combattere contro gli infedeli in Terrasanta, oppure acquistare giurisdizioni feudali su luoghi abitati o inabitati, ottenendo in questo modo l’investitura dal sovrano. Nel secondo, la nobiltà diventa il più alto onore ereditario, ma viene completamente svuotato di privilegi e diritti. «La nobiltà – ha precisato il relatore – esiste solo se ci sono il privilegio (ad esempio il titolo negli atti di stato civile) e la pubblicità (trovare il proprio nome in un elenco dello Stato dove ci sono solo famiglie nobili)».
Con l’entrata in vigore della costituzione il 1° gennaio del 1948, i titoli nobiliari non sono più riconosciuti. Ciononostante c’è la «frenesia di sentirsi nobile» e questo provoca miriadi di falsificazioni genealogiche. L’oratore ha quindi citato alcuni casi di personaggi famosi che si dichiaravano nobili senza esserlo, come Totò, «che fu principe, ma solo della risata, perché a un adottato, quale lui era, il titolo nobiliare non si può trasmettere».
Pier Felice degli Uberti – al quale la Banca ha donato, in ricordo della serata, la targa dell’ospitalità piacentina – ha consigliato, a chi desidera andare alla ricerca dei propri antenati per scoprire se nelle vene scorre sangue nobile, di studiare il Dna: «Nel mio, ci sono collegamenti con Enrico III d’Inghilterra».
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