“L’estradizione negli Stati Uniti? Per Julian vorrebbe dire la morte, lo ucciderebbero”. John Shipton, padre di Julian Assange, divenuto simbolo della libertà di stampa dopo il caso Weakileaks, è stato ospite questa sera della Cooperativa Infrangibile. Una serata organizzata dal Movimento 5 Stelle insieme al sindacato Si Cobas. Insieme a Shipton anche la europarlamentare Sabrina Pignedoli.
Nei giorni scorsi Julian Assange ha ottenuto una vittoria nella sua battaglia contro l’estradizione dal Regno Unito dopo che i giudici dell’Alta Corte di Londra gli hanno concesso il permesso di ricorrere in appello. A marzo due giudici avevano rinviato la decisione sulla possibilità che Assange, che sta cercando di evitare di essere perseguito negli Stati Uniti con l’accusa di spionaggio relativa alla pubblicazione di migliaia di documenti riservati e diplomatici, potesse portare il suo caso ad un’altra udienza di appello.
Come sta Julian?
Dopo 15 anni in prigione non può certo stare bene, lo potete immaginare, però la decisione della Corte il 20 maggio, lunedì scorso, ha dato un po’ di speranza e forse c’è una luce in fondo al tunnel.
Come vi state preparando all’appello?
“La preparazione della difesa è in mano ai legali. Il mio lavoro in Italia è principalmente quello di ringraziare per il supporto ricevuto da Julian negli ultimi 13 anni. Con queste nuove circostanze abbiamo la speranza che Juliane venga liberato per Natale”.
Julian è divenuto un simbolo, qual è il messaggio più importante che questa vicenda ha lanciato?
“E’ sempre molto difficile prendere delle decisioni quando non abbiamo le giuste informazioni. Quello che ha fatto Julian tramite Wikileaks è solo dare opportunità alla gente di sapere cosa è successo in Iraq, in Afghanistan e anche a Guantanamo Bay”.
Quali sarebbero i rischi legati a una potenziale estradizione negli Stati Uniti?
“Nelle prigioni americane verrebbe ucciso”.
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