Onde d’urto per liberare le coronarie, primo caso a Piacenza

Un infarto acuto e una coronaria troppo bloccata da accumuli di calcio per essere riaperta con i metodi tradizionali. Era questa la situazione critica che si è trovata ad affrontare nei giorni scorsi l’equipe di Emodinamica dell’ospedale di Piacenza quando è arrivato d’urgenza dalla Lombardia un paziente 80enne. Le chance di salvare la vita ad Arnaldo (il nome è di fantasia per salvaguardare la sua privacy) non erano purtroppo molte: la tradizionale tecnica (utilizzare una mini fresa per frammentare le placche in minuscole particelle) non era sicura, visto l’infarto in corso.

La litotrissia coronarica

I cardiologi piacentini hanno stabilizzato il quadro con un palloncino che consentisse il deflusso di sangue al cuore; ma senza riuscire a dilatare completamente l’arteria e a posizionare uno stent come necessario in questi casi. Appena usciti dalla sala di Emodinamica, l’equipe si è subito messa al lavoro per trovare un’alternativa che potesse liberare efficacemente le coronarie di Arnaldo.

“Sapevamo – racconta Guido Rusticali, responsabile di Cardiologia Interventistica dell’ospedale di Piacenza –  di una nuova tecnica, che è utilizzata da pochissimo, dal 2017, in pazienti selezionati; la litotrissia coronarica. Poteva essere la soluzione adatta al nostro caso e ci siamo quindi attivati per capire se fosse possibile provarla per la prima volta anche a Piacenza”.

Dopo l’intuizione dei clinici, è quindi scattata la collaborazione con gli altri uffici dell’Azienda per consentire di far arrivare il prima possibile la tecnologia in reparto.

“Abbiamo trovato moltissima disponibilità – fa notare Giovanni Quinto Villani, primario di Cardiologia. “Questa sinergia ci ha consentito di superare velocemente gli aspetti burocratici e portare nuovamente in sala il paziente in 36 ore”. L’importante lavoro di squadra dietro le quinte ha visto protagoniste diverse unità operative; Francesca Carini della Direzione farmaceutica (area Dispositivi medici), l’Economato e l’Ingegneria clinica, che hanno fattivamente collaborato per permettere ai clinici di avere a disposizione l’apparecchiatura necessaria. “Il dottor Villani e tutti i colleghi dei reparti coinvolti – fa notare il Rusticali – sono stati molto sensibili e rapidi. L’intera equipe dell’emodinamica, medici, infermieri e tecnici, vanta una lunga esperienza e un continuo aggiornamento. Ci siamo quindi fatti trovare pronti a portare a termine la procedura”.

La tecnica è “semplice” e utilizza onde d’urto simili a quelle usate per eliminare i calcoli renali

“Abbiamo inserito nel vaso un catetere a palloncino, che può emettere onde d’urto in grado di frammentare lo strato di calcio; una volta disgregato quello, è stato possibile dilatare la placca e posizionare uno stent, giungendo alla completa stabilizzazione dell’area”. I vantaggi per Arnaldo, come per gli altri pazienti, sono molteplici: “Non ci sono controindicazioni specifiche: infatti le  onde d’urto si disperdono, se non incontrano calcificazioni, senza provocare danni; questo ne consente l’uso anche in corso di infarto acuto, all’interno di stent preesistenti o in presenza di complicazioni a carico della parete della coronaria. Secondo i cardiologi interventisti si tratta di una procedura non complessa, compatibile con guide e cateteri che già utilizziamo”.

Per Arnaldo l’intuizione dell’equipe piacentina (formata dai medici Luciano Losi, Alberto Monello, Francesco Passerini e Gioacchino Valenti e da un gruppo di infermieri e tecnici radiologi dedicati alle procedure interventistiche) è stata quindi fondamentale; dopo la litotrissia coronarica e un paio di giorni di ricovero, il paziente ottantenne è tornato a casa con le coronarie liberate della pericolose calcificazioni.

“Un ottimo test”

Per l’ospedale di Piacenza il suo caso ha rappresentato un ottimo test per valutare l’efficacia della nuova tecnica. “In un anno – spiega il dottor Rusticali – trattiamo circa 900 pazienti, per un totale di circa 1100 vasi. La litotrissia coronarica completa il portafoglio strumentale necessario per il trattamento delle lesioni calcifiche, affiancando i cateteri “cutting” e il sistema di aterectomia rotazionale.

Le calcificazioni coronariche hanno un’incidenza che può raggiungere il 20 per cento dei vasi studiati e rappresentano spesso una sfida complessa per il cardiologo interventista. L’utilizzo di sistemi dedicati al trattamento del calcio coronarico permette di semplificare la procedura, riducendone i tempi di esecuzione e aumentando le probabilità di successo.

A mio avviso sarà necessario avere una dotazione completa nel più breve tempo possibile per poter risolvere situazioni come quella del signor Arnaldo in una unica procedura; dunque senza dover posticipare il completamento dell’angioplastica , riducendo i rischi e i tempi di degenza ospedaliera”.

“Abbiamo messo già in calendario un incontro per acquisire la strumentazione, in attesa che anche le altre Aziende dell’Area Vasta Emilia Nord (AVEN) ne richiedano l’utilizzo e si possa organizzare, magari già quest’anno, una gara complessiva”. L’equipe, insomma, mira a essere pronta a poter utilizzare ancora la tecnica, qualora fosse necessario.

L’emodinamica a Piacenza

L’emodinamica (settore  con l’elettrofisiologia della cardiologia interventistica) si occupa delle problematiche che riguardano il flusso del sangue nel cuore e nel sistema vascolare. In particolare, l’equipe guidata dal dr. Guido Rusticali si occupa di diagnosticare e curare i problemi che possono sorgere nell’apparato cardiocircolatorio. Gli interventi si svolgono per via “percutanea”, cioè attraverso un piccolo foro che viene praticato a livello inguinale, del polso o della piega del gomito, in anestesia locale e blanda sedazione, senza ricorrere a incisioni chirurgiche.

Attraverso questo piccolo foro viene inserita nel vaso sanguigno una cannula, all’interno della quale viene fatto scorrere, fino al punto desiderato, un catetere delle dimensioni di pochi centimetri. Lo strumento viene posizionato nell’area interessata; per esempio, in caso di infarto acuto, un grumo che ostruisce il passaggio di sangue o un restringimento importante del vaso sanguigno.

Le più comuni procedure di cardiologia interventistica eseguite per via percutanea sono la coronarografia e l’angioplastica. Entrambe prevedono l’iniezione di un mezzo di contrasto e l’utilizzo di un’apparecchiatura radiologica: il tutto per valutare il profilo dei vasi sanguigni e individuare eventuali restringimenti sui quali intervenire.

La coronarografia analizza le arterie coronariche, i vasi sanguigni che portano il sangue ossigenato al cuore. Oltre all’aspetto diagnostico, l’equipe di Emodinamica si occupa di procedure terapeutiche quali l’angioplastica, la valvulopastica aortica; ma anche l’impianto percutaneo di protesi valvolari aortiche (TAVI), oltre a interventi sul pericardio e di chiusura di comunicazioni interatriali.

I dati di attività, in costante crescita per il reclutamento di centri afferenti dal basso Lodigiano, dal Pavese e dall’area Parmense, parlano di circa 1600 esami diagnostici (coronarografie); ma anche circa 1100 i vasi trattati con angioplastica. Dal 2004 nel laboratorio dell’ospedale di Piacenza è disponibile il servizio di pronta disponibilità sulle 24 ore e 7 giorni su 7 per il trattamento in urgenza dell’ infarto miocardico. Ogni anno vengono effettuate circa 150 angioplastiche primarie.

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