“Cercheremo di licenziare il Dpcm già stasera”. Lo ha detto il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte. Un nuovo decreto ideato per contrastare l’impennata di contagi di questi ultimi giorni.
Si partirebbe con una stretta per bar e ristoranti. Nella pratica si tratterebbe della chiusura alle 24 anche se circola l’ipotesi di anticipare lo stop alle 23. C’è poi il divieto di sostare davanti ai locali dopo le 21 per evitare il formarsi di assembramenti.
Tra gli interventi che entreranno con molta probabilità nel prossimo Dpcm, c’è poi il divieto alle partite di calcetto, basket e tutti gli sport di contatto a livello amatoriale.
Il governo punta poi a incentivare lo smart working portandolo al 70-75%. Il “lavoro agile” potrebbe essere applicato per tutta la durata dello stato di emergenza (quindi fino al 31 gennaio) dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato anche in assenza degli accordi individuali nel rispetto degli articoli 18 e 23 della legge 81 del 2017 che disciplina il lavoro flessibile.
Tra gli interventi in discussione c’è anche la possibilità di ridurre a 10 giorni, invece degli attuali 14, la quarantena fiduciaria per chi entra in contatto diretto con dei positivi.
“La salute degli operatori, di chi lavora con loro e di quella dei loro clienti, è ovviamente la priorità – spiega il vice direttore Confesercenti Piacenza e coordinatore locale della Fiepet (sindacato gestori attività di somministrazione alimenti e bevande) Fabrizio Samuelli in una nota – e siamo i primi ad essere preoccupati per l’aumento dei contagi. Ma non è certamente la chiusura anticipata di bar e ristoranti, che hanno già dimostrato ampio senso di responsabilità, la soluzione: rischierebbe invece di mettere a terra i pubblici esercizi, già molto provati da questo difficile periodo; né si può affermare che la loro riapertura abbia fatto impennare i contagi.
Inoltre, con l’arrivo del freddo e del brutto tempo, sarebbero sufficienti pochi controlli per evitare assembramenti notturni esterni. Un fenomeno che si lega più alle vendite abusive di bevande che sarebbero da contrastare e sanzionare; senza contare poi la “malamovida”, quella che si svolge dopo la chiusura dei locali.
Se si vuole dare un segnale di maggiore sicurezza, si possono inserire ulteriori semplificazioni, come ad esempio definire un numero massimo di persone ad un tavolo, in modo da chiarire ulteriormente che non sono possibili feste di qualsiasi genere.
Ci aspettiamo che si dia la possibilità di concordare con la Regione, come già fatto per il Protocollo regionale, regole semplici, attuabili; norme che garantiscano sicurezza sanitaria e la sopravvivenza delle attività”.
Noi – circoli, lavoratori, soci e volontari Arci – siamo preoccupati e preoccupate da alcune ipotesi che circolano in merito alle nuove norme anti contagio da Covid-19 che saranno oggetto di confronto tra governo e regioni per poi essere recepite nel nuovo Dpcm. In particolare, a preoccuparci, sono i provvedimenti normativi su movida, assembramenti e chiusure anticipate di locali pubblici che potrebbero colpire anche gli spazi di socialità Arci.
Siamo ben consapevoli che l’emergenza epidemiologica non sia terminata, come dimostrano i dati sui contagi da giorni in continua crescita, e siamo consapevoli che la salute è un bene primario. Siamo da sempre consapevoli della responsabilità che occorre per affrontare questo momento storico. Non a caso, all’indomani dell’approvazione delle “Linee guida per la riapertura” siamo stati fra le prime organizzazioni nazionali a promuovere momenti formativi sulle misure di prevenzione del contagio, convinti che – dopo la fase di lockdown – fosse necessario promuovere una socialità responsabile.
I dati di cui disponiamo sono chiarissimi: ci dicono che gli assembramenti in strada e sui mezzi di trasporto sono quelli meno controllati e più pericolosi. Maggior fonte di rischio. E che il 75% dei contagi avviene all’interno delle relazioni familiari. Al contrario i posti pubblici organizzati sembrano quelli più sicuri e controllati, a partire dalle sale cinematografiche, teatrali e dai luoghi di socialità. È questa la prima importante distinzione da fare se si vuole affrontare il problema senza generalizzazioni e semplificazioni.
Tutto ciò lo conferma una recente indagine dell’AGIS, Associazione Generale Italiana dello Spettacolo, svolta su tutto il territorio nazionale. Su 347.262 spettatori in 2.782 spettacoli monitorati tra cinema, lirica, prosa, danza e concerti, con una media di 130 presenze per ciascun evento, nel periodo che va dal 15 giugno ad inizio ottobre, si registra un solo caso di contagio da Covid 19. Una percentuale irrilevante, che testimonia quanto i luoghi che continuano ad ospitare lo spettacolo siano assolutamente sicuri.
Se è così i luoghi di socialità andrebbero riaperti tutti nel rispetto dei protocolli per dare spazi sicuri di vita. È necessario oggi più che mai offrire spazi di cultura nel rispetto dei protocolli certi, che noi più di altri abbiamo sempre rispettato. E anche i locali come ristoranti e bar, mantenendo regole e distanze, andrebbero lasciati aperti più a lungo per togliere gente dalle strade.
È necessario insomma favorire ciò che può essere organizzato in sicurezza, come ha sempre fatto l’Arci nel rispetto delle norme a tutela della salute dei singoli e della collettività, e sanzionare chi, incurante delle norme anticontagio, favorisce comportamenti irresponsabili che facilitano la diffusione del virus.
È necessario puntare ad una socialità che si svolga in luoghi “chiusi” dove le forme di controllo e di individuazione delle catene di contatti sono sicuramente più facili da mettere in atto. Abbiamo visto che nelle scuole e nei luoghi di lavoro si può fare. Il rischio, altrimenti, è quello di far riversare chi vuole – e deve – trovare momenti di socialità e svago per strade e luoghi aperti dove tutto diventa “movida” indifferenziata. È possibile insomma avere una socialità responsabile anche mantenendo la distanza fisica.
Una socialità responsabile per rispondere alla crisi legata alla pandemia, che ha colpito duramente anche l’associazionismo culturale e di promozione sociale diffuso nel territorio e prezioso per la tenuta della coesione sociale del nostro paese, è quella che promuoviamo all’interno dei nostri circoli ARCI.
Per questo riteniamo che in questa fase, dove le attività ricreative e culturali sono già fortemente limitate dai protocolli di prevenzione, non si possa procedere con chiusure indiscriminate. Chiudere senza alternative, se non si è obbligati a stare a casa, può essere più pericoloso di una normalità organizzata per il momento particolare che stiamo attraversando. E avrebbe conseguenze drammatiche, non solo per l’Arci.
Siamo impegnati quotidianamente, non senza sacrifici, ad offrire occasioni di aggregazione nel rispetto delle regole, con senso di responsabilità. Vogliamo continuare a farlo e chiediamo con forza che con il prossimo decreto e le successive ordinanze regionali non vengano approvate norme di dubbia efficacia come la chiusura anticipata dei locali.
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