Mostra dedicata a Pierangelo Tronconi allo Spazio Rosso Tiziano, inaugurazione il 4 dicembre alle ore 15 30.
Questa mostra alla Galleria Rosso Tiziano di Piacenza, posta in dialogo con l’essenzialità del romanico e l’animata figurazione barocca della duecentesca chiesa dei SS. Nazzaro e Celso di Piacenza, si compone di oltre cinquanta opere e si qualifica come l’omaggio al pittore Pierangelo Tronconi, sia per i suoi oltre cinquant’anni di attività sia per la sua familiarità con l’ambiente piacentino.
Tronconi, classe 1921, nato a Rovescala in Oltrepò Pavese, conobbe BOT a dodici anni e si votò alla pittura. Tra le oltre trenta grandi mostre personali la prima fu alla Vinciana di Milano nel 1962, quando fu indicato dai maggiori critici come una sorpresa per la sua nuova figurazione in mezzo a un mare di autori di arte informale e astratta.
Attraverso il ricorso all’espressionismo e nella passione morale, ha dimostrato l’affermazione del suo senso di libertà e della sua insofferenza per le contraddizioni palesi della vita quotidiana e urbana. Certamente l’oggetto dominante della sua pittura è l’uomo contemporaneo, di cui Tronconi mette in evidenza le miserie, le malvagità, soprattutto l’ipocrisia, l’apparire positivo e l’essere negativo. Sull’ambiguità costruisce i temi icastici dei persuasori occulti, delle streghe della falsa informazione, dell’opinionista del talk show, degli uomini che rincorrono fantasmi, e tratta le figure deformandone i contorni per esprimere l’azione maligna dell’uomo, l’inganno, il raggiro, gli effetti della violenza; l’intonazione è quindi spesso sarcastica, apertamente polemica, perché egli affida alla sua pittura la funzione della denuncia appellandosi alla coscienza democratica e civile.
I riferimenti culturali diretti si possono ricondurre a una visione nettamente mitteleuropea: a James Ensor, a Francis Bacon, a George Grosz. Ma un riscontro più vicino e coevo a Tronconi si può trovare decisamente nel cosiddetto realismo esistenziale, interpretato negli anni Cinquanta-Sessanta da numerosi pittori concentrati a Milano, in particolare da Giuseppe Banchieri e da Gianfranco Ferroni, che esploravano la vita urbana nelle squallide periferie e in interni trascurati e miseri.
Tecnicamente Tronconi si serve di colori a olio perché gli consentono di definire bene le strutture corporee con tonalità fresche e guizzanti e di fluidificare i tocchi deformanti e le schermature. La sua grande abilità nel disegno si denota dai suoi numerosi pastelli e acquarelli, capacità oggi rara nella sua efficacia.
Il percorso è scandito da alcune opere degli anni Sessanta e Settanta: Paranoico in Hyde Park (1968)urlante moniti salvifici, Un vecchio si strappa le vesti credendo di lavorare (1970) per follia sopravvenuta, Quousque tandem ? (1973) sopraffazione tra uomini, Streghe della falsa informazione (1973) sparse in ogni sede sociale, opere di grande formato accomunate dal tema dell’umanità impoverita e delle deviazioni mentali causate dalla società opulenta.
Nelle opere degli anni Ottanta spicca l’Allegoria, enorme dipinto presentato alla Biennale d’Arte a Milano nel giugno 1989 e pubblicato su una pagina intera del Corriere della Sera, che rivela chiaramente il suo significato riferito alla diffusa derisione della Verità, raffigurata nella giovane nuda e scalza al centro di un assembramento, in cui sono rappresentate le autorità e i ceti sociali con personaggi dai volti con sorrisi di scherno. La Verità è sola, intimidita e delusa dalla generale avversione. E’ un dipinto che denota tutte le sue qualità artistiche e tecniche, uno dei suoi capolavori per l’elevatezza del tema e per la sua compiuta rappresentazione.
Negli anni Novanta si trovano ancora allegorie in cui l’artista vuole attestare un insegnamento virtuoso: il Rotariano (1990) nel sussiego del suo individualismo, i Mendicanti (1993) rassegnati al loro marginale destino, il Cieco (1995) che, simbolicamente, non sa leggere la realtà e che riprende il Cieco della Galleria Ricci Oddi, le Pettegole (1997) eterne e ubique mormoratrici. Con Le maschere di Ensor (1999) riattiva l’amato soggetto già affrontato nella mostra Memorie ensoriane del 1992 per rappresentare l’ambiguità umana, la falsità attraverso il mascheramento e l’omertà dopo le trasgressioni in una società umana uniformata al conformismo e all’inganno; non già quindi un riferimento al gioco del carnevale, ma a una scelta di trasfigurazione permanente. Le confidenze del dopo ufficio (1998) è molto significativo come esempio di rievocato realismo esistenziale.
Negli ultimi due decenni si era fatta più distensiva la descrizione di alcuni casi della vita con pennellate fluide. Riemergono però anche alcune visioni tormentate proprie del primo periodo, un Gesù crocifisso straziato che riassume universalmente la sofferenza umana, compatita dal “Pianto della Madonna” di Jacopone da Todi riportato a lato della croce: “Figlio dolze e placente, figlio della dolente, figlio hatte la gente malamente trattato”.
Per concludere Pierangelo Tronconi, centenario che ha lasciato il mondo proprio pochi mesi fa, ha attraversato sei decenni di pittura mantenendo sempre salda la sua impostazione di indagine e di sferza dei costumi e della società, evidenziandone le caratteristiche, i limiti, presentando la condizione umana nelle sue miserie e nelle sue tribolazioni, senza nulla concedere all’incantamento e al diletto artistico in sé e per sé. Un commento continuo e incisivo, una perizia pittorica inconfondibile e inconfutabile. La mostra inizia proprio con il suo Autoritratto, che nell’intensità dello sguardo esprime saggezza, determinazione e coscienza critica.
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