Sabato 24 settembre alle ore 17 30 è in programma l’inaugurazione Mostra allo Spazio Rosso Tiziano “Angelo Ghezzi, 40 Anni d’Arte”.
Lacerti dell’anima
Immagini della memoria che si materializzano attraverso un lento ma continuo alternarsi fra sentimenti che riaffiorano nel tempo e consapevolezza di un vissuto caro, fatto di luoghi, incontri, sensazioni, stati d’animo che poco a poco sono andati sedimentando e che riemergono fissandosi sulla tela per procurare nuove emozioni.
Angelo Ghezzi da quarant’anni, con la passione e l’ostinazione di chi crede in quello che fa, porta avanti un percorso artistico fatto di qualità e coerenza, rifuggendo ogni forma d’orgoglio o d’emulazione, libero nelle scelte compositive, con uno sguardo sempre attento alle cose e agli accadimenti.
Quarant’anni nei quali ha sviluppato un suo linguaggio ben definito e definibile, seguendo una figurazione che via via ha lasciato spazio anche ad approdi audaci.
Tra il 1977 e il 1985 a predominare sono dipinti rivolti alla figura femminile e all’armonia delle sue forme con incursioni in paesaggi appenninici o padani appena abbozzati. Alla figura lentamente vengono accostati cenni legati a luoghi della memoria ma anche, come nel caso del ciclo dedicato ai Segni Zodiacali, a citazioni di un bestiario astrale dai contorni onirici.
Da 1987 le architetture diventano più riconoscibili: sono i resti di “La casa abbandonata” (p. 36) ma anche i familiari scorci di Castell’Arquato (pp. 38, 45, 50) e poi luoghi più intimi quali il Grande Fiume, il mare e “I calanchi in Val d’Arda” (p. 56) dove le lame d’argilla fungono da cornice ad arbusti che assurgono a vere e proprie sculture della natura.
Nei primi anni Novanta, complice un viaggio in terra d’Africa, Ghezzi diventa anche cantore delle genti magrebine, come nel caso del conturbante volto di una giovane berbera in “Tunisia tour” (p. 59) che a sua volta si confronta con la bellezza disarmante di una donna occidentale raffigurata in “Ai confini della realtà” (p. 60), dipinto nel quale emergono intriganti astrazioni e i capelli diventano come trame coralline.
Tra il 1991 e il 1997 il connubio tra paesaggio e figura si affina e struttura diventando in diversi casi sintesi di luoghi amati, come la citazione pittorica della statua equestre di Alessandro Farnese che “In piazza” (p. 93) si scompone fra il volto del personaggio storico, il profilo del suo cavallo, un putto che li sovrasta e l’allusione a Palazzo Gotico con uno dei suoi merli ghibellini. Ripresa poi nel 2002 con un trittico di grande resa compositiva dal titolo ironico (“Aspettando Ranuccio”, p. 116).
Il passaggio di millenio porta Ghezzi ad approfondire ulteriormente il proprio rapporto con i luoghi e le persone. Più l’artista scava e più le sue opere si liberano da condizionamenti, lasciando che l’immagine si scomponga sempre di più e con essa il racconto si faccia sempre più intimo e sussurrato. “Paesaggio fantastico” (p. 122) e “Il vecchio borgo” (p. 126) hanno al loro interno tutta quella carica emozionale che l’artista riesce a cogliere frequentando località dove l’eco di richiami pieni di vita ha lasciato il posto al solo fruscio del vento fra vecchie mura ormai disabitate. In questi rimandi alla memoria tornano anche gli “Orizzonti africani” (p. 139) dove il pittore affianca a un volto femminile di rara bellezza quello di un cavallo carico di vigore.
Dal 2010 la sovrapposizione/scomposizione di immagini si fa ancora più evidente e con essa lo sguardo all’informale, senza peraltro perdere l’attenzione sulla figura femminile.
“L’ultimo avamposto” (p. 157) rappresenta così una bellissima sintesi tra l’unica presenza umana dalle fattezze quasi statuarie, un paesaggio appena accennato e l’antico castello di Cariseto. Soggetti animati e inanimati che sembrano l’immagine di questi nostri tempi, con una terra sempre più devastata e vestigia di un passato fatto di culture millenarie che s’innalzano a perenne monito.
Nell’ultimo decennio l’incursione nel linguaggio informale si struttura sempre di più ed è particolarmente evidente nelle cromie accese di “Paesaggio scomposto” (p. 161) o nel più intimo “Lo sguardo dentro” (p. 163). L’impronta astratta trova così uno spazio costante nei dipinti di Ghezzi insieme alla figura e al paesaggio, in un equilibrio che incanta ad ogni nuova opera e di cui è fascinosa sintesi “La valle dei misteri” (p. 182) dove l’orizzonte si perde fra miriadi di ricordi e lacerti dell’anima.
Carlo Francou
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