Morte di Mirko Rossi, emergono dubbi dalle perizie: “Il medico non era qualificato a intubare”

Emergono novità in merito alla morte di Mirko Rossi, l’ufficiale dell’aeronautica militare morto martedì 28 novembre 2016, durante un’attività addestrativa a Guidonia, vicino a Roma. Il suo paracadute non si aprì e il sergente si schiantò al suolo. Rossi, 41 anni all’epoca della tragedia, era originario di Genova ma da anni risiedeva a Piacenza insieme alla moglie.

Le novità emergono da un articolo di Repubblica.it .

I dubbi

L’imputato non avrebbe avuto alcuna possibilità di operare sul traumatizzato non possedendo alcuna delle qualifiche che abilitano alla intubazione oro-tracheale. Doveroso sottolineare che tutti gli ufficiali medici dell’Aeronautica Militare sono formati ed abilitati al BLS (Basic Life Support) e all’ACLS (Advanced Cardiovascular Life Support), manovre di base che non richiedono specializzazioni”.

Se infatti la guerra di perizie di medici legali – della procura, dell’Aeronautica e della vittima, ovvero della moglie dell’istruttore paracadutista Rossi, morto dopo 140 minuti dall’impatto prima contro una palazzina dell’aeroporto militare di Guidonia e poi al suolo da un’altezza di 4 metri – portava a versioni differenti sulla morte del maggiore, oggi si è giunti a un punto fermo.

La svolta è arrivata il 21 maggio scorso col deposito, alla procura di Tivoli, di una perizia del Tribunale che scagionerebbe l’unico indagato di questo procedimento, per puntare il dito contro l’Aeronautica. E così il medico Luigi Mossa, il dottore che era di guardia il giorno dell’esercitazione paracadutistica e che per 18 minuti è stato irreperibile in quanto – si legge nelle carte – “impegnato in una telefonata privata per gravi motivi non meglio precisati”, sembra non avere più responsabilità.

Omicidio colposo e abbandono del lavoro

Diciotto minuti dopo le chiamate degli infermieri e quindi 20 minuti dopo l’accaduto il dottor Mossa arriva sul luogo dell’incidente in contemporanea all’eliambulanza del 118. Ma dopo 140 minuti il parà muore per non essere stato soccorso a dovere in quello che in gergo medico si chiamano “i platinum 10 minutes”, ovvero i primi dieci minuti di soccorso a un politraumatizzato.

Questa “negligenza”, così scrive la procura, porta il medico militare Mossa all’iscrizione nel registro degli indagati con due accuse. La prima è omicidio colposo “in quanto nella violazione della consegna ricevuta, omettendo di prestare tempestiva assistenza al sergente maggiore Mirko Rossi cagionava il suo decesso, omettendo in considerazione della sua assenza nei primi minuti dopo la caduta di praticare le manovre di primo soccorso e rianimazione con supporto ossigenativo, ventilatorio e cardiocircolatorio, omissioni che determinavano il peggioramento dei parametri vitali di Rossi e il suo decesso per edema cerebrale”. La seconda accusa è abbandono del posto di lavoro.

Le accuse all’Aeronautica

Restiamo all’accusa più grave che ha portato al deposito della perizia dello scorso maggio con cui in pratica il medico militare indagato – per mano di un perito del tribunale – in qualche modo passa la responsabilità di questa morte all’Aeronautica militare.

Si legge nel documento firmato dal perito, Roberto Testi: “Ritengo si debba osservare che se è possibile ipotizzare che una rianimazione qualificata nei primi minuti dopo il trauma avrebbe potuto aumentare le chance di sopravvivenza del sergente Rossi, non ritengo possibile affermare che se il dottor Mossa, specialista in ortopedia, odierno imputato, fosse giunto sul luogo dell’incidente a bordo dell’ambulanza avrebbe avuto alcuna possibilità di operare sul traumatizzato assicurandogli una efficace rianimazione respiratoria, non possedendo alcuna delle qualifiche che abilitano alla intubazione oro-tracheale”.

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