Una profonda e avvincente riflessione per i credenti in generale; e per chi opera in prima linea nel portare nel Mondo la parola di Dio; quella proposta dal vescovo di Fidenza monsignor Ovidio Vezzoli, ospite a Palazzo Galli (Sala Panini) per l’apertura ufficiale del ricco “Autunno culturale” della Banca di Piacenza. Una sorta di codice di comportamento sul come “Rendere ragione della speranza”. Un codice mutuato alla Prima lettera di Pietro apostolo indirizzata ai fedeli delle province centrali e nord occidentali dell’Asia Minore.
Il presidente del Comitato esecutivo Corrado Sforza Fogliani, in apertura di conferenza, ha ringraziato l’illustre ospite per aver accettato per la seconda volta di partecipare ad un’iniziativa della Banca; lo scorso anno aveva benedetto i locali della Casa dell’ospitalità per i pellegrini a Santa Maria del Monte, ristrutturata dall’Istituto di credito; il nostro vescovo mons. Gianni Ambrosio, presente in sala. «Tra le Diocesi di Fidenza (che comprende i comuni piacentini di Castelvetro, Monticelli e Villanova, ndr) e Piacenza ci sono sempre state occasioni di collaborazione. Piacenza ha dato a Fidenza mons. Ranuccio Scotti (vescovo dal 1627 al 1650, ndr), una figura che meriterebbe di essere rivalutata».
«La Prima lettera di Pietro – ha osservato mons. Vezzoli – è un testo più vicino alla nostra realtà di quanto possiamo pensare. E per farvene comprendere il significato vorrei citarvi la frase, anonima, che fu trovata su un muro di una cantina di Colonia, dove erano stati nascosti degli ebrei: “Credo nel sole anche quando non splende; credo nell’amore anche quando non lo sento; credo in Dio anche quando tace”».
Da dove ripartire per ritrovare la rotta della nostra vita? Dalla speranza; rendendone, appunto, ragione. Ma che cosa significa? «Innanzitutto – ha spiegato il vescovo di Fidenza – ognuno di noi deve sapere dove si trova e verso chi è orientato, e non è così scontato. Non bisogna pensare di essere altrove rimpiangendo il passato – perché impoverisce i cuori e paralizza – o facendo fughe mistiche in avanti, ma vivere il presente in cammino, non statici, “prendendo il largo”, come ha indicato san Giovanni Paolo II ai credenti dopo il Giubileo del 2000».
Un cammino di ritorno che ricominci dalla necessità di ritrovare l’unità del nostro cuore (recita il Salmo 86: “Signore donami un cuore semplice”, che non vuol dire ingenuo ma uno, non doppio), che ci darà modo di incontrare Dio e noi stessi senza pregiudizi. Questo dunque l’appello affinché i credenti non si rassegnino attraverso la speranza – rappresentata da Gesù risorto – non effimera.
«Chi vi potrà fare del male – ha proseguito mons. Vezzoli citando la Lettera di Pietro – se sarete ferventi nel bene? Il male che tu fai a me non azzoppa la libertà che c’è in me di rispondere comunque con il bene. Essere ferventi significa perseverare ed è una questione di libertà». Il messaggio di Pietro è dunque quello di tornare all’origine, alle radici (Gesù) attraverso la verità, che è la prima carità che si deve al prossimo.
Questo cammino di fede, attraverso l’adorazione del Signore, va espletato con l’atteggiamento della vigile sentinella (responsabile), che non sottovaluta il compito che gli è affidato, la realtà in cui vive e colui che gli ha affidato l’incarico e che in lui ha avuto fiducia. «Dobbiamo – ha raccomandato il relatore – essere pronti a rispondere a chiunque ci interpelli sulla ragione della speranza che è in noi e preoccuparci se questa domanda non ci viene fatta».
Ma si può rendere ragione della speranza in qualsiasi modo? «No – ha chiarito il vescovo di Fidenza -. Vanno mantenuti alcuni atteggiamenti: dolcezza, rispetto e retta coscienza. La comunità cristiana non deve avere la presunzione di essere il Regno di Dio realizzato e va bandita l’autoreferenzialità, perché il nostro compito non è fare proseliti. Va ripreso l’umile cammino nella fede ripartendo da Dio e occorre imparare ad incontrare l’altro, soprattutto in un contesto multietnico e multiculturale nel quale ci troviamo oggi. Siamo tutti forestieri, di passaggio e il dialogo non è capitolazione ma significa cogliere l’unicità dell’altro. E dare ragione della speranza – ha concluso mons. Vezzoli – da ultimo significa non disattendere la realtà eterna, spesso rimossa per paura. Alziamo lo sguardo e, come detto prima, prendiamo il largo».
Rispondendo a una domanda sulla liturgia oggi nella Chiesa, il vescovo di Fidenza (al quale la Banca ha donato la “targa del benvegnù”, che rappresenta il simbolo dell’ospitalità piacentina) ha invitato a «non cadere nell’ipocrisia» e a «riscoprire il rito nel suo originario significato, che è quello di ricondurre all’ordine la realtà».
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