Niente dietrologie, l’arresto di Messina Denaro è frutto dell’impegno degli inquirenti. Ne è convinto Fabio Trizzino, legale dei figli del giudice Paolo Borsellino, vittima della strage di via D’Amelio, avvocato che ha rappresentato la famiglia Borsellino in tutti i processi sulla trattativa Stato-Mafia.
Trizzino ha raggiunto la biblioteca Passerini Landi per la presentazione del libro “Paolo Borsellino per amore della verità” (Sperling&Kupfer), di Piero Melati, giornalista che seguì, per “L’Ora” di Palermo, il maxi-processo.
Il volume restituisce, attraverso il dialogo con Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino, intrecciando numerose testimonianze, la figura di Paolo Borsellino – che proprio il 19 gennaio avrebbe compiuto 83 anni – ricostruendo una delle pagine più buie della storia giudiziaria d’Italia.
L’appuntamento rientrava nel ciclo dei “Dialoghi su legalità, partecipazione e memoria” promossi dall’Amministrazione comunale con il sostegno di Avviso Pubblico, in collaborazione con Libera e Teatro Gioco Vita.
All’avvocato Trizzino abbiamo chiesto una lettura dell’arresto di Messina Denaro.
“Grazie a una lettura degli atti fatta in questi anni, conosco tutti i meccanismi di precauzione che l’organizzazione si è data per fronteggiare quella che fu la giusta reazione dello Stato, il quale si dotò di mezzi e corredi normativi adeguati dopo l’attacco stragista. Dobbiamo considerare il mimetismo: ovvero la capacità di mimetizzarsi in un ambiente che è comunque abituato a coprire certe latitanze. Poi c’è sempre un mondo di mezzo legato a persone singole, non ancora individuate, che ha sempre avuto un occhio di riguardo e una contiguità col mondo mafioso e che sicuramente ha agevolato questa latitanza: un mondo appartenente all’imprenditoria, alla politica e, certamente, anche allo Stato. E’ un dato comune che i grandi latitanti siano sempre riusciti a sfuggire per molto tempo”.
“Le faccio un esempio concreto. Quando fu istituito il maxi processo, sia Falcone che Borsellino avevano ben chiaro il ruolo di Salvatore Riina e dei Corleonesi: nonostante questo furono processati da latitanti. Il punto è che la mafia era un nemico serio che prendeva delle ottime contromisure rispetto a un’azione a quel tempo non ancora molto organizzata”.
“E’ il particolare, il dettaglio, che determina la fine di una lunga latitanza, e per Messina Denaro il dettaglio è stato rappresentato dalla necessità di riemergere a causa della malattia, di uscire allo scoperto. Gli investigatori hanno saputo approfittare di questa contingente debolezza e sfruttare i pochi dati che avevano a disposizione. Io mi sono complimentato con gli inquirenti: alcuni di loro non hanno visto la famiglia per mesi perché giorno e notte impegnati in questa ricerca e non è giusto minimizzare questi sforzi”.
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