Viaggio con la memoria nella Piacenza popolaresca delle vecchie borgate

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Piacenza popolaresca delle vecchie borgate. Questo il tema affrontato da Giuseppe Romagnoli nella conversazione tenuta al PalabancaEventi nell’ambito delle manifestazioni collaterali alla mostra “La Piacenza che era”, promossa dalla Banca di Piacenza senza beneficiare di contributi pubblici o parapubblici.

Il relatore – presentato da Valeria Poli dopo il saluto introduttivo del condirettore generale della Banca Pietro Coppelli – ha esordito ricordando i lunghi periodi di studio e di lavoro, per fissare sulla carta la Piacenza popolaresca delle vecchie borgate. Mesi e mesi in biblioteca a spulciare archivi, a sfogliare quotidiani e periodici; altri lunghi mesi nelle osterie o in circoli di ritrovo, per farsi narrare dagli anziani personaggi ed avvenimenti di quel mondo (un lavoro sfociato nei due volumi usciti agli inizi degli anni Ottanta “Piacenza popolaresca”, Editrice Humanitas, a cura dello stesso Romagnoli e di Gaetano Pantaleoni).

L’oratore ha raccontato Piacenza com’era una volta, il suo vero humus popolare, iniziando dalla suddivisione toponomastica, quella dentro le mura, quel formicolante microcosmo delle borgate a ridosso delle antiche porte: Borghetto, Sant’Agnese, con il Po sullo sfondo, fino al 1960 casa dei piacentini.

«Perché borgate? Perché il termine quartiere, sotto un profilo storico-sociologico, appare improprio – ha argomentato il prof. Romagnoli -; presuppone un concetto di pianificazione razionalizzata, mentre il termine borgo richiama spontanei nuclei residenziali autonomi, poi inglobati nella città murata e turrita. Così come le torri erano il simbolo del potere feudale trapiantato in città, i borghi piacentini erano chiusi tra di loro, sovente in competizione ed il varcarne i confini presupponeva risse e conflitti».

In quella che il giornalista ha definito «caleidoscopica realtà sociale delle borgate» agirono attori primari e secondari della Piacenza popolaresca, fatta perlopiù di gente che viveva alla giornata. Il relatore ha poi parlato delle vecchie osterie, fondamentale proscenio della realtà delle borgate, numerosissime nella vecchia Piacenza (oltre 100), come del resto le caserme e le chiese.

«Dunque la Piacenza che era, quella popolare, fondamentale supporto – ha concluso il prof. Romagnoli – per capire la Piacenza che è ma soprattutto quella che verrà».

Prossimo appuntamento con le manifestazioni collaterali alla mostra, lunedì 3 gennaio, alle ore 18: in programma la conversazione di Valeria Poli sul tema “Piacenza nei ricordi fotografici di Giulio Milani”.

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