Chiarita la disputa sulla data dei matronei scoperti durante i restauri del beato Scalabrini

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I matronei del Duomo furono scoperti durante i restauri (degli inizi anni ’70 dell’800) del canonico Giovanni Battista Rossi (che li finanziò, anche) o durante quelli di Scalabrini (fra il 1897 e il 1902)? I matronei, come noto, nelle antiche chiese cristiane erano spazi riservati alle donne (matrone) “cospicue” (più in vista, insigni, notabili), spazi consistenti in gallerie o loggiati aperti sopra le navate centrali.

Il fondo documentario sui restauri di fine Ottocento in Cattedrale, recentemente acquisito alle sue collezioni storico-artistiche dalla Banca di Piacenza (ed a meno che altri documenti siano rimasti, o siano stati tenuti, finora celati), risolve il problema: i matronei furono aperti durante i restauri del beato Vescovo (che, prima dell’inizio degli stessi, aveva – esattamente ai primi del 1894 – lanciato un appello per i restauri possibili “perché, grazie a Dio, quel fervore di religione che lo innalzò, non è, nella nostra Piacenza, affievolito”). Ed è proprio confortati dal coraggio della fede, allora ben fondato, che nulla si nascose, tutto si illustrò e spiegò, alla luce di quello storicismo che sempre, comunque, ci deve assistere ogni volta che ci voltiamo indietro.

La scoperta dei matronei nel “laudabile templum” (come dice il distico del 1122 sulla facciata della Cattedrale) fu dunque fatta – risulta così accertata nel Fondo Banca di Piacenza – il 9 marzo del 1901, dall’ing. Ettore Martini (1870-1960), che – oltre ad aver restaurato San Savino – fu il collaboratore primo di Camillo Guidotti (1853-1925) nei restauri, appunto, del Duomo (aveva 31 anni, contro i 48 del secondo) (cfr. Novissimo Dizionario biografico piacentino, Banca di Piacenza, 2018, ad voces). “Scoperta Matronei”, scrisse (entusiasta) Martini il giorno dopo la scoperta. E, in effetti, in allora, si parlò subito e solo – senza esitazione alcuna – di “scoperta”, avvenuta essendosi l’ingegnere accorto, nell’assistere ai lavori per scrostare un muro, della presenza di “mattoni speciali”, caratterizzati da una “estremità a semicerchio”. E fu ciò che portò ad accorgersi di una novità che avrebbe portato a constatare di trovarsi di fronte a linee architettoniche diverse “delle due braccia della traversa”. In sostanza: 8 matronei, 4 da una parte e 4 dall’altra, nella “maggiore nave” (navata). L’ing. Martini ricevette subito le più vive congratulazioni da Guidotti, due volte contento: per la scoperta, e perché essa ben si inquadrava nella logica che ispirò i restauri scalabriniani (oggi, non sarebbe così), quella di rimettere la chiesa, il più che fosse possibile, nel pristino stato. E questa narrazione l’ing. Martini ribadì in una lettera dell’aprile (la cui minuta è presente nel fondo della Banca), solo fissando all’8 marzo sera (anziché al 9) la scoperta, anche ricordando un incontro – svoltosi nell’immediatezza – con l’avv. Carolippo Guerra (1829-1911, ivi), uno dei protagonisti dei restauri e di un Manzotti (non meglio identificato, non presente sul dizionario precitato, ma con ogni probabilità legato alla stirpe dei famosi fotografi originari di Reggio Emilia).

La notizia della scoperta ebbe addirittura risonanza nazionale e provocò un sopralluogo del Sottosegretario alla P.I. Panzacchi, che venne apposta a Piacenza e a lungo si trattenne nel cantiere dei lavori, rendendo poi visita al Vescovo.

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