Da domenica 26 aprile un nuovo programma verrà a far parte del palinsesto di Radio Sound. Si chiamerà #MaChiÈKlaus, guida pratica alla misantropia socialmente indotta, un programma di Andrea Bricchi, imprenditore e dirigente piacentino, molto attivo anche nel sociale e con molte passioni, che l’hanno portato a girare il mondo per oltre trent’anni, a calcare palcoscenici anche con mostri sacri come Boldi e Villaggio, a registrare dischi, scrivere libri e articoli di giornale, oltre a una Messa da Requiem per orchestra, organo, coro e voci soliste.
La puntata di Domenica 26, alle 10,45, sarà il varo ufficiale di questo spazio di approfondimento economico culturale, e avrà come ospite e madrina la nota giornalista Milena Gabanelli, che sarà la prima di tanti ospiti illustri che dialogheranno con Bricchi nelle puntate successive.
L’abbiamo intervistato per chiedergli come sia nata l’idea di questo programma e cosa pensi del rilancio dell’economia conseguente alla crisi del coronavirus. Ecco cosa ci ha detto.
MaChiÈKlaus è una domanda, una domanda vera, che ha posto Flavia Vento al parlamentare leghista Claudio Borghi. Flavia chiedeva cosa fosse il MES. Borghi ha risposto che il MES è una cassa gestita da un suo nemico, tale Klaus, alludendo ai tedeschi, e Flavia ha chiesto chi cavolo fosse questo Klaus.
Così, commentando un simile botta e risposta degno di Amleto, con Riccardo Puglisi e Luca Bizzarri, sono stato folgorato sulla via di Damasco. #MaChiÈKlaus sarebbe diventato un programma, molto serio, per spiegare temi di economia, politica e attualità, con ironia e semplicità. Ringrazio Radio Sound per avermi concesso questo spazio. Effettivamente la grave crisi che stiamo attraversando richiede qualche riflessione e, possibilmente, qualche spiegazione che renda più chiari alcuni concetti all’opinione pubblica. Chiedersi chi sia questo cavolo di Klaus è legittimo e rispondere è necessario.
Io sono un ingegnere elettronico, vecchio ordinamento, laurea magistrale, anche perché ai miei tempi c’era solo quella: cinque anni di studio matto e disperatissimo, tra rotori, divergenze e integrali tripli. Mi sono specializzato in microelettronica, ma dopo un lavoro sul circuito d’interfaccia di un giroscopio MEMS a quattro masse, ho capito che progettare pezzi di silicio era un lavoro che mi andava decisamente stretto. Il fatto di aver viaggiato molto fin da piccolo e di conoscere le lingue mi ha permesso di cominciare a lavorare come commerciale estero per una bellissima azienda di telecomunicazioni.
Parlo sei o sette lingue, ma bene solo cinque. Il mio lavoro da neolaureato, ormai quasi 20 anni fa, consisteva nel viaggiare per il mondo, incontrare clienti spesso molto grandi, come enti elettrici e ferrovie, e raccontare perché la mia azienda era più brava delle altre a fare cose mirabolanti, come le “onde convogliate”, le “RTU”, l’automazione delle stazioni elettriche o la telefonia di servizio lungo la linee ferroviarie e nelle stazioni dei treni.
Poi si facevano offerte, gare d’appalto, associazioni d’impresa, finanziamenti, operazioni di trading, e così ho potuto coniugare l’ingegneria con l’economia. Mi sono iscritto a corsi di specializzazione post laurea (che forse oggi si chiamano Master) alla SDA Bocconi, a Palo Alto e simili, in finanza, gestione aziendale e contrattualistica internazionale. Poi la vita mi ha portato a diventare imprenditore, ma non è stata colpa mia (ride n.d.r.).
Perché fatti non fummo per viver come bruti. Le mie passioni “private” sono l’arte, la musica, la letteratura, la filosofia. Il mio lavoro è altro. L’uomo non è fatto a compartimenti stagni, tutto fluisce nelle nostre emozioni. La musica, la poesia, la matematica, sono modi diversi di esprimerle, di comunicare. Sembrano cose snob, a molti, ma non è affatto così. Sono solo cose belle. E sono alla portata di tutti. Non serve essere geni o studiosi per apprezzarle.
La bellezza arriva a chiunque. Io non faccio di questo la mia professione, perché non avrei le basi. Mi piacciono, come piacciono a tante persone. E quindi mi limito a raccontarle a modo mio. Quando canto l’opera, per esempio, non sono bravo, tutti capiscono che non ho mai studiato canto, ma non è importante, non m’interessa essere bravo in questo, perché sta nelle premesse. A me interessa comunicare, mandare messaggi. Non sono niente di più di un impiegato che ha la passione per il calcetto.
Non l’ho scritta da solo, ma con una persona eccezionale. In realtà io ho studiato pianoforte per otto anni, acquisendo competenze musicali di base.
Ho scritto la struttura portante, cioè la melodia e alcuni arrangiamenti, specie quelli per coro polifonico a quattro voci.
Poi mi sono fatto aiutare dal Maestro Fornaciari, un mio carissimo amico, che considero uno dei più grandi violinisti del mondo, per l’armonizzazione. Cioè, se volete, io ho avuto qualche idea, ho formato alcuni pezzi di materia grezza e li ho modellati parzialmente.
Il Maestro ha unito tutti questi pezzi, ne ha aggiunti altri e ha dato forma compiuta all’opera. L’ho scritta per mia madre, che ci ha lasciati pochi giorni fa, perché quando le potremo finalmente fare un degno funerale, ci sia una musica tutta per lei, unica. Le sarebbe sicuramente piaciuto.
Ho un approccio naturalmente positivo, proattivo, alle cose. Reagisco ai problemi cercando di ottenere il miglior compromesso possibile nelle situazioni in cui mi trovo, sapendo che è inutile sprecare energie su ciò che non posso cambiare.
Mi concentro su quel che ho il potere di influenzare, indirizzare, modificare, migliorare. Lasciatemi dire che sto attraversando uno dei periodi più bui e difficili della mia vita. Ho perso mia madre all’inizio di Aprile. E purtroppo tante persone sono nella mia stessa condizione di lutto e di dolore. Quasi ogni giorno se ne va qualcuno che faceva parte della nostra vita, è disarmante.
Questa pandemia è la ferita più profonda nella storia mondiale, dalla guerra in poi. Non dobbiamo nascondere la testa sotto la sabbia o metterci a sbandierare slogan come #andràtuttobene, come se fossero amuleti magici. Non è andato tutto bene. E in futuro andrà come deve andare. Le condizioni saranno tanto migliori quanto più sapremo reagire con convinzione e impegno alle difficoltà.
L’economia è un nodo fondamentale. Come dico sempre, in queste settimane, la crisi economica sarà lo tsunami, che arriverà inevitabilmente dopo il terremoto sanitario. Non possiamo evitarlo, possiamo prepararci per affrontarlo al meglio, cercando di limitare i danni e di creare fin da subito le condizioni ottimali per la successiva ricostruzione.
La mia azienda è una holding, fa work for equity. Siamo tra i primi in Italia, forse i primi, in effetti, come ci ha suggerito il Notaio all’atto della costituzione societaria. È nata dall’unione di idee innovative, che si sono sovrapposte nei miei pensieri, soprattutto notturni, circa un anno fa, quando venivo da un periodo molto complesso e mi chiedevo quale strada intraprendere.
Ho passato un paio di mesi a fare ipotesi e conti. Dovevo pensare ai minimi dettagli, e l’ho fatto anche avvalendomi di alcuni professionisti. Nello stesso periodo ricevevo sollecitazioni notevoli da alcuni amici americani, con cui stavo iniziando a collaborare per attività di brokeraggio e ricerca di crediti deteriorati, npls, per grandi fondi d’investimento. Il modello delle boutique banks, dei manager a tutto tondo, con competenze fiscali, giurisprudenziali e imprenditoriali mi affascinava molto.
Quindi è bastato unire i puntini, per creare una sorta di piccolo fondo di private equity, che erogasse competenze, più che finanza. Brian and partners è nata così, lo scorso Aprile, con un viaggio a New York per raccogliere partner tra studi legali e intermediari finanziari.
Parlando dell’idea a alcuni imprenditori e professionisti piacentini ho raccolto i soci italiani che credevano in questo progetto e siamo partiti.
Aiutiamo altre aziende. Spesso un imprenditore arriva a un punto in cui si sente abbastanza soddisfatto, ma capisce che da solo non può fare molto di più. O magari è in crisi, ha dubbi, paure, difficoltà. Noi siamo la risposta alle sue domande. Ci mettiamo al suo fianco, con lui, non al suo posto. Sediamo vicini a lui e ai suoi dirigenti. Decidiamo strategie nuove, per crescere nel commerciale, per trovare nuovi mercati, specialmente all’estero, e per ottimizzare i processi industriali. Oggi serve un metodo, non si improvvisa niente. Ci si affida a software, che noi ritagliamo su misura per ogni caso specifico.
E quando decidiamo di investire non lo facciamo a pioggia, ma scegliendo uno o due casi molto specifici e concreti. Non ha senso pensare di “andare all’estero” immaginando di poter vendere in tutto il mondo entro pochi mesi. Bisogna scegliere uno o due mercati potenzialmente promettenti e cominciare da quelli. Per fare questo, spesso, subentriamo con quote di minoranza, al valore nominale o comunque con negoziazione particolare. A volte semplicemente entrando nel CdA, anche come consigliere.
Così facendo i costi per l’imprenditore che si affida a noi sono quasi azzerati. È una scommessa che non può perdere. E se la vince la vinciamo assieme. Quando questo non è possibile, specie se stiamo dialogando con grandi aziende, ci limitiamo a fare da consulenti, con costi comunque molto ridotti, rispetto a quelli standard di mercato.
Per esempio a fine 2019 abbiamo rilevato una società piacentina, la VT Filters, che veniva da un periodo difficile. La stiamo ristrutturando, e le prospettive sono ottime. Progettiamo sistemi e impianti di aspirazione e filtrazione industriale. Tutto ciò che è aria è il nostro mondo.
Misuriamo portata e efficienza degli impianti, anche e soprattutto quelli esistenti, in base alle nuove e più stringenti normative.
Con il virus è diventato un tema fondamentale, che anche il Governo incentiverà.
Pensate a quanti contagi si possono evitare se il sistema che gestisce l’aria che respiriamo è nuovo, efficientemente pulito e igienizzato. Quanti hanno impianti vecchi e fuori controllo? Noi possiamo semplicemente renderli efficienti, con una spesa molto contenuta.
C’è anche molto altro. Per esempio un’azienda che costruisce enormi impianti per trasformare gomma e plastica in combustibili come gasolio, gas e polvere di carbone. Si chiama Eco Circular. Abbiamo stretto accordi con altre tre aziende piacentine, per completare progetti e carpenteria metallica. E ci stiamo occupando di trovare clienti, specie in Asia, dove questo tipo di impianto ha molte richieste.
Poi ci sono aziende, anche molto note, che stanno portando all’estero grandi sistemi di telecomunicazioni e automazione, nel campo dell’energia e del ferroviario, specialmente. E ancora aziende che fanno macchine utensili, o lavorazioni metalliche.
Una parte di Brian, che si compone soprattutto di giovani e brillanti laureati, sta raccogliendo anche interesse in progetti di nicchia davvero stimolanti, nel campo delle materie plastiche, dei polimeri, ma anche nel settore agroalimentare. Non possiamo fare tutto, scegliamo con cura solo le idee più promettenti, ma su quelle lavoriamo con estrema convinzione e, fino a oggi, con eccellenti risultati.
Ne andiamo molto fieri. Recentemente siamo anche stati scelti da Agenda Digitale dell’Emilia Romagna, in collaborazione con l’Assessorato a scuola, università e ricerca, per parlare di economia e di come pensiamo di poter aiutare le aziende, in questo caso locali, a uscire prima dal periodo di forte crisi in cui ci troviamo. Ci hanno chiesto di girare clip e video, tutorial che poi sono andati in onda su Lepida television, in chiaro sul digitale terrestre, e sui vari canali social della Regione.
Fa parte del programma “Insieme Connessi”, cui Agenda Digitale dell’Emilia-Romagna ha voluto dare massima visibilità, per divulgare competenze e contenuti digitali e connettere le persone che vogliono apprendere anche da casa. Va in onda tutti i giorni, a partire dalle 11, grazie al contributo di imprese, professionisti, associazioni, scuole, università, amministrazioni pubbliche e altri soggetti che mettono in condivisione contenuti e approfondimenti su svariati temi.
Piacenza è la mia città, ne andrò sempre molto fiero. I piacentini sono persone serie, molto tenaci, vanno al sodo. L’economia piacentina reggerà meglio di altre, perché ha solidissime basi, dall’agricoltura all’industria.
La cosa più importante e difficile sarà cambiare mentalità. I piacentini sono troppi diffidenti, oggi è necessario lavorare assieme, fare squadra, non solo a parole. Molti invocano iniezioni di liquidità, per esempio. La liquidità è fondamentale, però non deve servire solo a pagare tasse e fornitori, ma anche e soprattutto a dare un forte impulso localmente! Se la liquidità circola sul territorio, se scegliamo fornitori locali, trovando con loro accordi che ci consentano di averne mutuo vantaggio, tutto il sistema si rimette in moto e ne trae grande giovamento.
Se un imprenditore fa lavorare altre aziende locali, piacentine, il cerchio si chiuderà con altre aziende piacentine che faranno lavorare quello stesso imprenditore. Dobbiamo parlarci, ma davvero, dobbiamo scrivere, nero su bianco, non blaterare quattro chiacchiere che rimarranno sempre tali. Questa grave emergenza può diventare un’opportunità per fare realmente quel che abbiamo sempre voluto fare, ma che poi abbiamo lasciato in un cassetto per paura o per pigrizia. Il mio invito agli imprenditori piacentini è a dialogare, a aiutarsi subito. Non è impossibile.
Le sedi opportune ci sono già. Penso a Confindustria, per esempio. A livello nazionale, ma anche provinciale. Dovrà avere un ruolo centrale, diventare un punto d’incontro e di coesione, aperto a tutti, grandi e piccoli.
Oggi Confindustria svolge già un importante lavoro, ma mi piacerebbe che diventasse un vero collante, un punto di sintesi per molti.
Il neoeletto Presidente Carlo Bonomi mi è parso ben determinato, ha parlato di politici incerti e titubanti. Un ottimo punto di partenza, a mio modo di vedere, perché il Governo deve tenere sempre in considerazione le imprese, se intende rilanciare seriamente l’economia. Non può farne a meno e dovrebbe smetterla di demonizzarle, soprattutto. Gli imprenditori sostengono la società. Se non c’è lavoro chi mangia?
Penso anche alle banche locali, che sono fondamentali per un’economia come quella piacentina.
Ci sono grandi banche, che sono sicuramente in grado di offrire ottimo aiuto e strumenti adeguati alle imprese, ma una Banca locale può avere una marcia in più, perché conosce il territorio, le sue aziende, le persone che le guidano, la loro storia, ha ancora una capacità di dialogo e una flessibilità che altrove difficilmente si può realizzare. Non è banale.
È proprio in banca che tutti vanno per cercare soluzioni a problemi specifici. E la banca può fare da collettore, può generare conoscenza e aggregazione. E poi è necessario pensare fuori dagli schemi. A Palazzo Galli, per esempio, grazie alla Banca di Piacenza c’è un continuo ribollire di cultura e occasioni di approfondimento. A Milano li chiamano “Think Thank” e la gente paga e fa carte false per poterci essere.
Qui abbiamo di meglio, gratis e per tutti, grazie a una banca piacentina, storica e popolare. Troppo spesso, lo diamo per scontato. Le banche subiranno grandi pressioni, nei prossimi mesi, con rischi ben superiori al passato, di crediti inesigibili, di aziende sparite da un giorno all’altro, con tutti i loro leasing da gestire, i finanziamenti e quel che ne consegue. Devono essere messe nelle condizioni di operare senza dover fare da punchingball. Tutti potranno dare un contributo, dagli enti locali alle Università, fino a incubatori e meccanismi di supporto a startup e giovani brillanti.
Dovrei? La fiducia va conquistata. E negli ultimi anni hanno fatto l’opposto. L’assistenzialismo non funziona, è deleterio e distruttivo. Il Governo fa quel che può, in effetti. Chiunque avrebbe problemi, nel far fronte a una simile situazione, però serve più coraggio. Bisogna consentire di non pagare le tasse, almeno per quest’anno. E dare tutta la liquidità necessaria, senza temere che il debito pubblico sfori i parametri imposti da burocrati faziosi in tempi di vacche grasse.
Le perdite del tessuto imprenditoriale devono essere assorbite dai bilanci pubblici. Non c’è alternativa. Non si possono fare decreti che erogano pochi soldi, tra mille cavilli, e che vengono subito riassorbiti per pagare le tasse. Se falliscono le aziende crolla il Paese. Se chiudono negozi, bar, ristoranti, hotel, cosa faranno milioni di persone disoccupate? Chi prende un reddito di cittadinanza, perché non può lavorare nei campi, o scavare canali, dare assistenza a cantieri?
Come dicevo, io sono un liberale, ma un liberale vero, non quel genere di scodinzolanti parvenu con auto sempre nuove, che non azzeccano un congiuntivo e non hanno la più pallida idea di chi fosse Monsignor Della Casa. Quindi rispondo che ognuno saprà fare quel che è meglio per sé, come teorizzava Adam Smith. Ma non basta. Smith va compendiato, con la teoria dell’equilibrio di John Nesh: ognuno farà quel che è meglio per sé e per il gruppo di appartenenza, scelto o imposto che sia. Cioè, il mercato agisce naturalmente, a bilanciare le scelte dei singoli, come fosse il Destino nel discorso filosofico sul Libero Arbitrio.
E siccome sono anche realista, non posso dimenticare John Keynes, l’uomo che portò gli Stati Uniti fuori dal big deal, insieme a Marshall, quasi cent’anni fa. Keynes diceva che se c’è un periodo di disoccupazione, lo Stato deve dare subito lavoro.
Lavoro, non una paghetta per i più fannulloni. Meglio se per costruire strade, ponti, infrastrutture, ma basterebbe anche solo incaricare un milione di disoccupati di mettere denaro in vecchie bottiglie di vetro, scavare buche per sotterrare le bottiglie e lasciare ai privati il compito di dissotterrarle. Se tutti lavorano, l’economia funziona. Quanti braccianti servirebbero oggi, per esempio? In sintesi: l’economia migliore funziona perché spinta dagli interessi privati dei singoli, equilibrati da uno Stato che non pensi solo a tassare e sprecare, ma soprattutto a incentivare le iniziative, vigilando che siano eque e rigorose.
Gli annosi sprechi pubblici vanno pesantemente tagliati. Penso a assurdità tutte nostrane, come statuti speciali, incarichi ultra ridondanti, consorzi vari, commissioni farlocche, carrozzoni parastatali mantenuti e finanziati per decenni, chiedendo sacrifici sempre ai soliti contribuenti. Il debito pubblico può andare al 15% del PIL, o anche oltre, come in guerra. Perché non dovrebbe? Dove sta scritto che non si possa fare? Dobbiamo liberarci di tutti i paletti, veri o presunti che siano, e di buona parte dei burocrati. Oggi non è più un semplice auspicio, è necessario, e va fatto subito.
Serviranno molti anni, non i cinque o sei previsti dai vari esperti in questi giorni. I prestiti erogati oggi dovranno essere restituiti in almeno dieci, quindici anni. E le procedure vanno snellite, per consentire agli istituti di credito, che sono fondamentali, come dicevo prima, di lavorare insieme agli imprenditori senza doversi preoccupare di tutele cavillose e altri impedimenti, anche penali, come il concorso in bancarotta o altre simili conseguenze di un accesso al credito previsto, ma non adeguatamente regolamentato e semplificato. La politica deve solo mollare gli ormeggi, liberarci dalle zavorre nel minor tempo possibile.
Che cos’è l’Europa? Non è più il vecchio continente, ormai è un continente vecchio. O cambia o fallirà miseramente ogni idea di Europa. Sia chiaro: io sono fortemente europeista! Ma la mia idea di Unione Europea è molto diversa e molto migliore di quella attuale. Io sono un liberale, sono lontanissimo da ogni ideologia e da ogni estremismo. Sono convinto, al contrario dei liberali intransigenti americani, che serva una componente statale, per quanto limitata a sanità, istruzione e poco altro. E sono anche convinto che lo Stato debba proteggere e aiutare i più deboli. Ma non come fa oggi, permettendo a milioni di persone di approfittare impunemente di denaro pubblico, magari dopo aver pesantemente evaso il fisco.
Capisco che Germania e Olanda non vogliano concederci i coronabond.
Perché dovrebbero? Fino a quando dimostriamo loro che di noi non possono fidarsi e che non ragioniamo in modo coeso e coerente, loro perseguiranno comprensibilmente i loro interessi particolari. Vorrei che i nostri politici pretendessero di aver più peso a Bruxelles e a Strasburgo, e andassero ogni giorno a costruirsi quella fiducia e quella credibilità che abbiamo miserevolmente perso in questi anni. Vorrei fossimo rappresentati da economisti, politici capaci e intellettuali. Solo così potrà esistere una vera Unione Europea, che è utile a tutti, non solo all’Italia, perché il crollo di una parte consistente delle attività economiche, in un sistema fortemente interallacciato, come quello europeo, genererebbe una catena distruttiva generalizzata.
Quando ne usciremo cosa farà?
Andrò a pescare e a bere un caffè. E poi lavorerò il più possibile, non conosco altro modo per ottenere risultati apprezzabili.
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