Riceviamo e pubblichiamo la nota della Cisl.
In tema di occupazione non basta seguire le statistiche mese per mese ma è preferibile considerare almeno un trimestre: nell’ultimo di cui sono disponibili i dati Istat, cioè quello conclusivo dell’anno scorso, si può notare che la crescita delle posizioni dipendenti a Piacenza , misurata dai saldi attivazioni-cessazioni, è stata, al netto dei fenomeni di stagionalità, la più significativa dell’anno (814 unità in più). Ciò nonostante, il risultato conseguito dal mercato del lavoro locale nell’anno (2.184 posizioni dipendenti in più) è risultato complessivamente inferiore a quella del 2020 (2.956 posizioni dipendenti in più)
La crescita delle posizioni dipendenti in provincia di Piacenza nell’ultimo trimestre del 2021 (pari, come detto, a 814 unità) è la sintesi di 344 posizioni in più nelle altre attività dei servizi, 217 nelle costruzioni, 190 nell’industria in senso stretto e 85 nel commercio, alberghi e ristoranti e di 23 posizioni in meno in agricoltura, silvicoltura e pesca. Merito soprattutto delle attività della logistica, seppure in leggera flessione durante il terzo trimestre. La ripresa delle posizioni dipendenti nell’industria in senso stretto si è irrobustita nell’ultimo trimestre dell’anno. Il lavoro dipendente nelle costruzioni sembra avvantaggiarsi della vasta incentivazione messa in campo per sostenere l’edilizia privata.
Per quanto riguarda i contratti, nel corso del 2021 sono cresciute, principalmente, le posizioni in apprendistato, a tempo determinato e in somministrazione (1.567 unità in più), mentre si è avuto un incremento più contenuto del lavoro a tempo indeterminato (617 posizioni in più). Non è una notizia buona, perché sembra che la crescita torni ad imperniarsi su tipologie occupazionali a carattere temporaneo. Significativa (306 posizioni in più) è stata anche la crescita del lavoro intermittente nel quarto trimestre 2021.
“Quella del 2021 è una situazione, commenta Michele Vaghini, Segretario generale Cisl Parma Piacenza, che per quanto solo parzialmente positiva, rischiamo seriamente di rimpiangere, anche da un punto di vista occupazionale: premettendo che nel nostro territorio ci sono ancora 8.000 persone in cerca di lavoro (di cui 5.000 sono donne), temiamo che nel 2022, a breve, possa ripartire il ricorso alla cassa integrazione. A causa della guerra l’impatto sui prezzi al consumo legato alla componente energy del paniere dei prezzi è stato eccezionale. Ne è derivata anche una drastica erosione del potere d’acquisto dei redditi delle famiglie, ma anche le aziende sono state colpite. E ci sono anche altre materie prime, come i metalli utilizzate dalle nostre aziende meccaniche, che stanno diventando sempre più difficili, e costosi da procurarsi sui mercati internazionali. Per non parlare delle difficoltà delle aziende dell’edilizia a reperire le materie prime per le costruzioni, con il serio rischio che le opere previste dal PNRR subiscano un forte ridimensionamento o un’impennata dei costi.
Lo shock dal lato dei prezzi delle materie prime, quindi, ha effetti non solo dell’andamento del saldo commerciale, dato l’aumento del costo delle importazioni, ma anche sulla competitività delle imprese, che rischia di svantaggiarle soprattutto nei confronti delle imprese dei Paesi asiatici. Occorre pensare a specifici aiuti per difendere l’occupazione, come fatto con gli ammortizzatori sociali in periodo di pandemia o rischiamo che la guerra in Ucraina, oltra al suo inaccettabile costo di vite umane, finisca per perderla alla fine, anche tutto il mondo del lavoro”.
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