“La memoria perduta”, aperta la prevendita per lo spettacolo si sabato 26 novembre 2022 alle ore 21 al Teatro Verdi di Fiorenzuola sulla malattia di Alzheimer.
Si tratta di uno spettacolo di prosa con musica e danza della compagnia “Human League” che racconta l’incontro e la collaborazione dei due scopritori della malattia di Alzheimer e la storia della prima paziente nota.
Informazioni e prevendita sullo spettacolo a cura dell’associazione Alzheimer Piacenza presso la biglietteria del Teatro ( oppure al 0523 98 52 53 o via mail a teatroverdi@comune.fiorenzuola.pc.it ).
Attraverso i personaggi rappresentati nello spettacolo – spiega Cristina Emiliani della Compagnia Human League – abbiamo la possibilità di parlare sia della malattia e sia dei familiari. In particolare di come affrontano le malattie. Poi lo facciamo anche dal punto di vista dei dottori al momento della scoperta che non si trattava di una demenza senile perché la pazienza aveva solo 51 anni. Ovviamente è un tema molto delicato e anche complesso e pure un po’ ostico direi. Infatti ho avuto difficoltà anche a trovare un attore che interpretasse Alois Alzheimer perché gli artisti erano spaventati un po’ forse dal tema. Però noi in realtà lo abbiamo trattato in modo non angosciante, anzi c’è anche musica dal vivo e un paio di balletti. Non dico che si arriva a ridere perché il tema è delicato, però qualche volta si sorride. Lo abbiamo affrontato in questo modo.
Tempo fa l’Associazione Alzheimer Piacenza Odv, nella persona di Andrea Gelati, ci chiese di preparare uno spettacolo teatrale che potesse sensibilizzare le persone su un tema delicato, di interesse generale e tuttavia scomodo, di cui si fa fatica a parlare: la malattia di Alzheimer.
Succedeva prima del Covid, che per due lunghi anni ci ha impedito di pensare al teatro.
La stesura del copione avveniva proprio durante il primo lockdown, ma la preparazione era iniziata molto prima. L’argomento non ammetteva improvvisazione e superficialità. Il nostro è stato un lavoro di formazione: abbiamo letto libri, assistito a incontri con medici/operatori e a sedute con i familiari.
Il copione è stato rivisto e modificato parecchie volte. Il tema non era facile, tutt’altro. Il rischio era che l’argomento potesse respingere anziché interessare.
Abbiamo scelto volutamente di non mettere al centro del racconto la malattia, ma i due scopritori del morbo, quell’Alois Alzheimer da cui ha preso il nome, e il suo assistente friulano Gaetano Perusini, caduto ingiustamente nell’oblio e di cui i più ignorano il prezioso contributo. Parlare (anche) di lui è un modo per rendergli giustizia.
Raccontiamo due medici eccezionali – Alzheimer e Perusini – che erano prima di tutto due persone, con sogni, desideri, valori. Li rappresentiamo in modo molto umano, con i loro meriti, ma anche con le loro debolezze. Immaginiamo il loro incontro, l’affinità degli interessi e la stretta collaborazione.
Non è detto che le cose siano andate proprio così, ma ci piace crederlo. Del resto queste licenze artistiche sono legittime e necessarie.
E intanto che la storia si snoda attorno a loro, altri personaggi intervengono e accennano a tematiche importanti: lo psichiatra Paul Nitsche che aderirà, durante il nazismo, al famigerato programma di eutanasia T4 per l’eliminazione fisica degli alienati; lo psichiatra Emil Kraepelin, profondo studioso delle malattie mentali, padre delle moderne classificazioni delle patologie psichiche, un luminare proteso alla eliminazione dei manicomi-lager; Augusta D., la donna indicata come la prima malata di Alzheimer, che attraverso la sua voce interiore rimasta intatta, esprime via via tutta la rabbia, la frustrazione e il terrore della sua condizione («Mi spengo poco per volta. Poco per volta sto perdendo me stessa»); il marito di Augusta, Carl, espressione dello smarrimento di fronte alla persona amata, così profondamente mutata da non sapere più se sia veramente sua moglie o una sostituta, del suo senso di abbandono e di solitudine che è quello di tutti i familiari dei malati di demenza.
L’obiettivo che ci eravamo prefissi era quello di fare uno spettacolo che non risultasse opprimente e siamo convinti di esserci riusciti. Affrontiamo temi di per sé angoscianti, ma senza farlo in modo angosciante. Strappiamo anche qualche sorriso.
Vogliamo che il pubblico, memore dei nostri precedenti spettacoli, sia curioso di vedere anche questo che affronta un argomento ostico come può essere una malattia terribile qual è il morbo di Alzheimer, di cui anche le grandi case farmaceutiche sembrano disinteressarsi, di cui le istituzioni si fanno poco carico condannando i malati e le famiglie dei malati alla solitudine.
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