Sono diverse le telefonate di allarme che giungono a Confagricoltura Piacenza da parte degli associati. Gli ostacoli delle attività nei campi sono molteplici, preoccupano soprattutto i rincari (raddoppiati e in alcuni casi triplicati) dei fattori produttivi: luce, gasolio, fertilizzanti e agrofarmaci, a cui si aggiunge anche il loro difficile reperimento dall’estero (in particolare non arrivano i concimi azotati, potassici e fosfatici, che sono quasi tutti di importazione), mentre persino gli stabilimenti locali di fertilizzanti a base di urea sono costretti a sospendere l’attività a causa dell’aumento dei costi energetici. In diversi comparti l’incremento dei costi procura una crisi di liquidità che, oltretutto, blocca gli investimenti aziendali previsti. “Per l’agricoltura, il caro energia ha un duplice effetto negativo. Ha fatto salire con percentuali senza precedenti i costi di produzione, dai fertilizzanti ai mangimi. Per effetto del prezzo del gas, cresciuto di oltre il 700%, potrebbe risultare insufficiente l’offerta di alcuni beni intermedi fondamentali per le prossime semine. Inoltre, – ha dichiarato il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – aumenta ogni giorno il numero delle imprese di trasformazione che riducono o bloccano il normale ciclo di lavorazione. Con il risultato di limitare le possibilità di collocamento dei nostri prodotti”.
“Gli allevamenti sono sotto scacco – dichiara Filippo Gasparini, presidente di Confagricoltura Piacenza – i fattori economici sono la goccia che fa traboccare il vaso di una situazione in cui l’imprenditore è inchiavardato nell’impossibilità di agire da una serie di contraddizioni continue. La situazione di oggi esce dall’imbuto di tutto quello che abbiamo creato negli ultimi cinquant’anni”.
Solo nel biennio 2020-2021 nella nostra provincia hanno cessato l’attività 23 allevamenti bovini e 6 allevamenti suini.
“Nel bel mezzo di una pandemia – prosegue Gasparini – diventa obbligatorio coprire le vasche dei reflui per emettere meno gas serra. La fauna selvatica contaminando i campi è fonte di malattie in stalla, è portatrice di zoonosi per debellare le quali viene disposto l’abbattimento totale in allevamento al solo rilevamento del primo caso. Il tollerato assalto degli animali selvatici alle nostre aziende e alle nostre stalle lede dunque le cinque libertà del benessere animale tanto sbandierate. Mentre ai suini diamo le palle per giocare, la peste suina si trasmette nei cinghiali che ci limitiamo a monitorare attentamente. Da anni chiediamo l’eradicazione degli ungulati dalle zone di collina e pianura dove non sono autoctoni.
È impedito all’imprenditore di fare l’allevatore, è l’ideologia che blocca. Le norme che arrivano – incalza Gasparini – sono a disfatta dell’allevatore. Viviamo un dramma quotidiano senza che nessuno se ne renda conto. Non possiamo limitare i costi perché non li determiniamo. I Psr non sono nemmeno più orientati al benessere animale, figuriamoci alla produttività, ma all’ambiente, o meglio all’ambientalismo. Viviamo nei nostri riguardi l’ostilità del nostro Paese che mostra un’interna e infinita contraddizione di norme incoerenti che causano la chiusura delle imprese. Il lavoro ha totalmente perso l’etica della fatica, la produttività non è più considerata un valore ed è stato dimenticato che senza di essa non ci sono utili da poter redistribuire.
Ci hanno chiesto di aver fiducia nei trattati europei, nei trattati di commercio mondiali e nella PAC come strumenti di equilibrio dei prezzi e quindi dei mercati, poi ci troviamo incrementi del 300% sui concimi e il raddoppio dei mangimi? Quello che vediamo oggi è un Paese allo sbando che non sa dare alcuna garanzia o protezione in chi ha creduto di avere una guida. È un Paese che non sa discernere perché non conosce la realtà dei campi. Questi accrocchi di norme che causano la chiusura delle aziende hanno dei responsabili in Italia e in Europa ed è giunto il momento della consapevolezza, l’azzeramento delle imprese – conclude amaramente il presidente di Confagricoltura Piacenza – non è un incidente di percorso e ci chiediamo se i responsabili pagheranno”.
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