Città di chiese, caserme e… osterie. E’ uno degli aspetti emersi nel corso della conversazione sulla Piacenza popolaresca che Giuseppe Romagnoli ha tenuto al PalabancaEventi (Sala Panini), ultimo appuntamento delle manifestazioni collaterali alla mostra “La Piacenza che era” terminata, dopo la proroga, domenica 23 gennaio. «Una mostra – ha sottolineato Valeria Poli presentando l’oratore – che ha avuto un successo di pubblico, interessato e numeroso, persino inaspettato».
Il prof. Romagnoli ha ripreso il racconto per immagini della Piacenza delle vecchie borgate della prima metà del secolo scorso – avviato in un precedente incontro – partendo da piazza Borgo con la libreria Fagnola, la cartoleria Stucchi, la drogheria Zucca, la pasticceria Bottani, «dove i ragazzi andavano a comprare con la misera paghetta le bustine di briciole dei dolci», il bar Nino Campelli, «ritrovo degli sportivi». Un itinerario che ha poi fatto tappa in strä ‘Lvä (via Taverna), zona con palazzi storici importanti (Barattieri, Scotti da Fombio, Somaglia) e una parte più popolaresca «ma dove non c’era un pauperismo diffuso – ha spiegato il relatore – grazie alla presenza di due realtà che davano lavoro: l’arsenale e l’ospedale». In piazza Cavalli e nei suoi dintorni, ha osservato il prof. Romagnoli, c’erano molti ritrovi eleganti frequentati dalla borghesia piacentina (il Caffè Gnerri di via Garibaldi, dove andava Faustini, il Caffè Mazzini, l’Albergo Italia («teatro di una cena tra Marinetti e Bot con menù futurista»), l’Hotel Croce Bianca. Il centro storico all’epoca era frequentatissimo e pieno di trattorie. «In piazza Cavalli – ha proseguito l’oratore – due volte la settimana c’era il mercato. La gente arrivava dalla provincia la mattina presto e faceva un’abbondante colazione nelle osterie. Finite le contrattazioni con i mediatori in Piazza (allora bastava una stretta di mano), si tornava a tavola per il pranzo». Le osterie erano più di cento e ad esse il prof. Romagnoli ha dedicato un volume: «Sono state – ha rimarcato – uno specchio importante della società del tempo. Ma perché ce n’erano così tante? (dieci nella sola via Roma). Nella maggior parte delle case le dispense erano vuote. Nelle osterie, invece, si trovavano cibo e vino a buon mercato. Quasi tutti gli osti pigiavano e imbottigliavano. Il prodotto era genuino, non sempre eccelso. Un locale veniva apostrofato “osteria della sedia elettrica”, tanto era forte lo choc provocato dal sorseggiare il (pessimo) vino. Nelle osterie, poi, si cantava, si suonava e si giocava a bocce».
Il prof. Romagnoli ha concluso il suo affascinante – e nostalgico – racconto citando alcuni pionieri dell’industria «che hanno svolto un ruolo fondamentale nel miglioramento del tenore di vita dei piacentini, dando loro un lavoro»: Giovanni Rossi, Aldo Aonzo, James Massarenti, Aride Breviglieri con l’Rdb, Pietro e Artemio Bubba, Paolo Leonardi (trasporti), Gennaro Auricchio.
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