Riceviamo e pubblichiamo la nota di Michele Giardino, consigliere comunale del Gruppo Misto.
“Ho attraversato tutta la città. Poi ho salita un’erta, popolosa in principio, in là deserta, chiusa da un muricciolo: un cantuccio in cui solo siedo; e mi pare che dove esso termina termini la città”. Inizia così la poesia di Umberto Saba intitolata “Trieste”, la sua città. Quel muricciolo mi fa venire in mente la tangenziale di Piacenza. Mi pare che dove essa è tracciata, finisca, debba inesorabilmente finire la nostra città.
La città è un organismo vivente, un corpo alimentato dal sistema di reti che le varie attività umane intrecciano. Esiste una legge di scala anche all’interno delle città: in un contesto di pianificazione urbana sostenibile, a un sistema di maggiori dimensioni, corrisponde un consumo minore di energia pro-capite. In natura, i coralli crescono dove esistono già delle ramificazioni, gli alberi dispongono il maggior numero di foglie su un numero contenuto di rami e nei mammiferi la crescita porta a un rallentamento del metabolismo. Lo stesso meccanismo di risparmio si attiva nei centri abitati. Città in fase di sviluppo rallentano il loro metabolismo, ovvero il consumo di risorse, durante la crescita. Interviene un processo di ottimizzazione che è direttamente proporzionale all’espansione della città.
Per contro, dove ci sono più connessioni, più intrecci, più comunicazioni, più combinazioni, tutto è più vivo (e più vivibile). Perché ci sono più incontri e si crea più varietà. E più si crea varietà, più un luogo, una cultura, una società è attraente, dinamica, energetica. Città più grandi offrono abbondanza di scelte, quindi meno uniformità e più molteplicità.
Prendiamo le metropoli: contengono, producono e moltiplicano varietà, funzionano in questo senso come veri e propri organismi viventi. La dinamica dei movimenti, degli incontri, delle azioni in una grande città è identica a quella dei batteri, dei neuroni, dei codici genetici: si intrecciano, si scambiano, si accoppiano e si respingono. Alcune di queste connessioni non portano a nulla, la maggior parte crea invece qualcosa di più complesso, di inedito. Idee, nuove forme di vita. È questo, da sempre, il metabolismo del processo biologico, che oggi si arricchisce e si espande perché anche tutte le nuove tecnologie sono fondate sullo scatenamento delle connessioni.
Nel 2050, sei miliardi e mezzo di individui vivranno in aree urbanizzate estese per quasi 120 milioni di ettari di suolo mondiale (quattro volte l’intera superficie dell’Italia). Affrontare il fenomeno dell’espansione urbana come una crescita naturale è il punto di partenza per ridurre l’impatto delle città sul territorio. Le scienze naturali sono di grande aiuto per capire le dinamiche con cui la città si amplia e per controllarne l’evoluzione. Occorre imparare a considerare la città alla stregua di un organismo vivente, il cui tessuto può espandersi, deve espandersi senza minacciare la biodiversità.
Piacenza non fa eccezione. Il mio personale auspicio è che possa essere protagonista, nei prossimi decenni, di un aumento della sua popolazione residente, sia per capacità di intercettare nuovi abitanti, sia per propensione a favorire un incremento demografico naturale. Se ciò accadrà, da qui a trent’anni, sarà inevitabile ripensare il suo spazio di evoluzione. Con buona pace di un poetico muricciolo o di una idilliaca tangenziale.
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