Venerdì 2 luglio 2021 alle ore 18 diretta diretta streaming dalla Biblioteca del Convento di Santa Maria di campagna: “Galeotto fu il libro e chi lo scrisse…”, Paolo e Francesca: amore e “pietas”. Canto V dell’Inferno dantesco. Relazione e lettura di Roberto Laurenzano, Presidente Società “DANTE ALIGHIERI” – Comitato di PIACENZA. Saluti di Danilo Anelli, Presidente Famiglia Piasinteina. Collegarsi ai siti: www.famigliapiasinteina.com – www.santamariadicampagna.com
In Dante l’Amore incontra le sue varie espressioni: dall’umano e terreno allo spirituale e divino; dall’amore in senso fisico-passionale all’amore verso la donna secondo una concezione idealistica da “dolce stil novo” ma pur sempre figura “umana”; ma poi fino ad una concezione (e qui starà il salto di qualità da parte del dolcestilnovista Dante) di donna “spiritualizzata” ed espressione del concetto di “Amore tout court”, in se stesso, come “canone” di Bellezza superiore. Evidente che l’ispirazione per Dante è offerta sempre dalla “sua” Beatrice, vista fisicamente in Firenze, da lui (quasi coetaneo) amata idealmente (Beatrice andrà in sposa ad un esponente dei nobili Bardi) e morta a soli 24 anni, intorno al 1290, arrecando un eterno dolore in Dante. L’Amolre dunque assume varie fisionomie, in grado di far assurgere però l’Uomo ad una piena conoscenza dell’ “essenza” vera di questo sentimento, fino ad una superiore spiritualizzazione. Insomma, in Dante si ha un procedere dell’Amore “dal basso verso l’alto”, vale a dire “dai sensi allo spirito”. Nel Canto V° dell’Inferno è coinvolgentemente ricordata la vicenda amorosa tra i due giovani cognati Paolo Malatesta e Francesca da Polenta (o da Rimini), adulteri in quanto entrambi legati da rispettivi matrimoni dettati da altrui volontà ispirate al Potere e al Dominio delle rispettive stirpi. I due giovani si amano con verità, dolcezza e sincerità massime; si potrebbe dire con moralità se non fosse che però sono “adulteri”; sicché Dante è in certo senso “costretto” a collocarli tra i “lussuriosi” nell’Inferno. Ma non tanto per il peccato di lussuria in sé; Dante infatti considera l’amore fisico/passionale una giusta e “naturale” manifestazione dell’Essere umano: l’uomo, in quanto “creato da Dio a propria immagine e somiglianza”, ed essendo Dio stesso espressione di “Amore”, ha per natura stessa in sé tale sentimento/passione umana. Ma la “Ragione deve” prevalere quando vi è un limite doveroso da non superare. ed invece superato dai due giovani, entrambi coniugati con altri partners, lasciandosi invece trascinare dalla passione. L’adulterio è “fuori-ragione”. Sta qui il vero motivo della loro condanna. Nel Canto V° si è dinanzi ad una delle pagine più commoventi della “Commedia”, e alla coinvolgente commozione di Dante, la sua “pìetas” nel senso spiritual-cristiano, e non di commiserazione spregiativa, di fronte al dramma-tragedia di Paolo e Francesca (uccisi dal marito di Francesca) determinerà nell’animo del Poeta non una condanna umana, ma una forte comprensione e un umano dolore, pur nella piena consapevolezza, da parte del Poeta, della loro colpa di non aver obbedito alla Ragione. E Dante “come corpo morto cade”: in pratica, sviene. Ma il dolore da lui avvertito, la sua “pìetas” per i due amanti si fonde e si confonde, in verità, anche con la propria personale crisi spirituale di uomo fragile smarritosi nella “selva oscura”, in un buio luogo dell’anima, un buio interiore da cui deve e vuole uscire per rivedere la luce. Uno dei Canti più intensi, oltre che celeberrimi, della “Commedia”.
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