Nella ricorrenza del Giorno del Ricordo, lunedì 10 febbraio, presso il Giardino Martiri delle Foibe tra via Trivioli e via Buozzi, ha avuto luogo la cerimonia di commemorazione delle vittime delle Foibe e della tragedia istriana nel secondo Dopoguerra.
Agli interventi istituzionali del sindaco Patrizia Barbieri e del prefetto Maurizio Falco, è seguito un momento di preghiera affidato a don Federico Tagliaferri, parroco di San Giuseppe Operaio.
Il discorso del prefetto
Abbiamo sempre meno testimoni diretti di quelle pagine nere di guerre fratricide che il secolo breve, il 900, ha lasciato che si scrivessero sulle strade delle nostre Comunità. Anche oggi, in tutta Italia, saranno consegnati riconoscimenti a sopravvissuti o familiari che hanno custodito per tanto tempo da soli, all’interno della propria linea di discendenza, il ricordo delle sofferenze subite di un razzismo poco impresso sulle pagine della storia.
Troppe volte impegnati a fare e disfare i conti delle atrocità contrapposte, non dobbiamo perdere l’unica grande ed assorbente eredità di quei sacrifici: che è il rifiuto senza se e senza ma della violenza come strumento di relazione tra popoli e tra persone. Il mio rinnovato invito è a smettere di levigare la punta acuminata di parole che non ambiscono a ricostruire tutti i fatti accaduti ma solo ferire l’avversario politico. Piuttosto, sarà utile arrotondare il senso di ciò che si ricorda, offrendo ai ragazzi più solidi appigli per avanzare verso il futuro con le armi della ragione.
E della comprensione come presupposto del perdono e della condivisione.
Tutto questo significa dare allo scorrere del tempo un valore positivo, dentro il quale scolora l’odio e riprende la ricerca dell’impegno comune.
Il 27 gennaio mi sono permesso di ricordare una vicenda personale di studente, e mi rivolgo soprattutto ai ragazzi, citando la passione di un mio professore di liceo che amava Tucidide, il grande storico greco.
Quest’ultimo viveva il tempo della la Guerra fratricida del Peloponneso già consapevole che la propria attività di cronaca sul campo, per diventare vera storia, aveva bisogno del riconoscimento delle ragioni di tutti, anche di quelli dall’altra parte; e che il tempo, solo il tempo avrebbe fatto consolidare un messaggio universale chiaro degli accadimenti, consentendo alla storia di essere davvero “possesso perenne” della cultura di un popolo. Evocava una adeguata prospettiva di lontananza da persone ed eventi narrati, per non scivolare nella emotiva ricostruzione di parte. Ebbene, seguendo questa tesi, dobbiamo ammettere che forse non è passato abbastanza tempo se continuiamo ad essere sedotti dall’approccio divisivo tra Vincitori e Vinti.
E se rinnovate polemiche contrappongono diverse verità a scopo strumentale nel presente. Il suggerimento di chi ha l’onore di rappresentanza dello Stato sul territorio è dunque soprattutto ai ragazzi, che abbiamo voluto incontrare anche qui, a pochi giorni di distanza dalle manifestazioni del giorno della Memoria. Questo perché il rischio di superficializzare la lezione della Storia di veri e propri orrori merita un continuo monitoraggio delle sensibilità giovanili. Notizie diffuse in questi ultimi giorni sembrano confermare l’opportunità di non abbassare la guardia verso gesti che paiono obbedire più ad una sfida vigliacca di frustrati che a minacce reali di sistema: come accaduto con gli atti vandalici contro le lapidi commemorative a Massa Carrara, e Casale Monferrato.
Ma è il rimbombo virale ed acritico su media e social che preoccupa chi ha responsabilità istituzionali verso la Comunità.
L’invito che faccio a voi giovani, allora, è di non tralasciare alcuna fonte attendibile (lettura dei libri innanzitutto) che racconta le vicende tristi della nostra Storia patria recente: ma orientandovi attraverso la stella polare dei principi universali non negoziabili, la condanna della violenza in ogni direzione e manifestazione sociale. Per quanto attiene alla parte più difficile ma necessaria il consiglio è quello di non consegnare all’oblio le più drammatiche considerazioni sui fatti di cui anche in parte, e da ogni parte, pure i nostri antenati si sono macchiati. Perché dimenticare significa essere più poveri di riferimenti e riflessioni, non più leggeri dal peso delle responsabilità passate;
E soprattutto non ci libererà mai dal dovere di impedire che analoghi accadimenti possano riproporsi proprio perché si è negato il vero messaggio che ci proviene dalle mille ricerche e ricostruzioni
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