Attualità

Festa della Liberazione, il sindaco cita Liliana Segre: “Il corpo prigioniero, ma la mia mente ha sempre volato”

Un anno fa, tra i tanti concittadini riuniti nel cuore di Piacenza per onorare la memoria e il significato del 25 aprile, iniziavo il mio discorso rievocando le piazze gremite in quella storica giornata di primavera del 1945, quando le campane risuonarono a festa in tutta Italia e poterono dissolversi, nell’abbraccio gioioso di un popolo intero, la devastazione e la sofferenza della guerra, il silenzio imposto dalla paura, il peso dell’oppressione e della violenza.

Le tragiche circostanze che purtroppo ben conosciamo ci costringono a celebrare il 75° anniversario della Liberazione nel raccoglimento di una piazza deserta e silente. Oggi più che mai avremmo bisogno di vivere le emozioni della Festa, scendere nelle strade e ritrovarci in un abbraccio liberatorio. Ma questa cerimonia, per quanto diversa possa apparirne il volto, non perde certo il proprio significato più profondo, che diventa, se possibile, ancor più forte e attuale.

“Il mio corpo è stato prigioniero, ma la mia mente ha sempre volato”

Mi tornano alla mente, a questo proposito, le riflessioni che la senatrice Liliana Segre ha rivolto a una platea di giovani studenti ricordando, qualche tempo fa, la libertà di pensiero che non l’ha mai abbandonata durante la sua tragica esperienza di reclusione nei campi di sterminio: “Il mio corpo è stato prigioniero, ma la mia mente ha sempre volato”. Mai come ora, possono essere le nostre emozioni e la nostra volontà di condivisione a farci superare la distanza e l’isolamento, facendo sì che il sacrificio dei nostri Caduti si imponga come presenza toccante e autentica in questa assenza.

Rendere il nostro omaggio alle donne e agli uomini che hanno scritto alcune delle pagine più alte e nobili della nostra Storia vuol dire, innanzitutto, riconoscersi nell’adesione intima e sincera ai princìpi della democrazia, della libertà, del pluralismo e della pace per i quali essi diedero la vita.
E’ infatti nel rispetto, nella convivenza civile, nella capacità di coltivare quegli stessi valori nella propria quotidianità, che ogni cittadino può esprimere, anche singolarmente, il tributo più importante a chi ha combattuto per la Resistenza, a quanti si esposero al rischio di brutali rappresaglie per sfamare e nascondere chi si opponeva all’oppressore. Nessuno, tra loro, si tirò indietro: come avrebbero raccontato alcune di quelle ragazze diversi anni più tardi – in una preziosa ricerca condotta sulla Resistenza a Calendasco – “avevamo imparato a ignorare la paura… semplicemente, andavamo contro al mondo a quell’età”.

Un coraggio di cui la Repubblica Italiana è debitrice

Di quel coraggio, ancora oggi, la Repubblica Italiana è debitrice. Di quella capacità di spendersi per gli altri, di rischiare senza esitazione ciò che si aveva di più caro, dobbiamo essere tutti riconoscenti. Certo, la storia ci ha insegnato che è difficile ripercorrere il passato con uno sguardo scevro da ogni ideologia, impossibile dimenticare la brutalità di una guerra fratricida che ha posto gli uni contro gli altri, inesorabilmente, vicini di casa, colleghi di lavoro, compaesani per i quali la diversità di opinioni e idee politiche ha rappresentato, in quegli anni così difficili, una frattura insanabile.

Eppure oggi, volgendo lo sguardo al Tricolore che adorna i nostri palazzi, o inchinandoci di fronte ai nomi incisi nel marmo delle lapidi commemorative, la commozione e la consapevolezza che ci colgono non conoscono distinzioni, così come l’orgoglio per quella Medaglia d’Oro al Valor Militare di cui Piacenza è stata insignita per il sacrificio di tanti suoi figli. A ognuno di loro, in questo istante, vanno il nostro pensiero e la nostra gratitudine, l’abbraccio di una folla che non ha potuto essere presente e l’eloquenza del silenzio. Perché le parole non bastano, talvolta, a esprimere il dolore per ciò che è stato, ma possono aiutarci – facendo riecheggiare in questa piazza l’amore per la libertà e i fondamenti della nostra democrazia – a colmare il vuoto che sentiamo dentro e intorno a noi.

E così che affidiamo, a queste stesse parole, un appello: a 75 anni da quella Liberazione che segnò l’avvio di un nuovo cammino per la vita politica e civile del nostro Paese, ritroviamo e rinnoviamo quel senso di appartenenza alla comunità che trascende ogni divisione in nome degli ideali universali e indiscutibili di pace, di convivenza civile, di coesione sociale. Contadini, intellettuali, operai, sacerdoti, insegnanti, avvocati: generazioni diverse, percorsi di vita talora estremamente distanti, seppero incontrarsi e mettere da parte quelle differenze per costruire, insieme, una società migliore, di cui la nostra Costituzione è la testimonianza più preziosa.

E’ a quell’Italia, che possiamo guardare ancora oggi per la fierezza nel rialzarsi, la tenacia nel non soccombere, l’altruismo nel dividere sempre quel poco che si aveva, la coerenza nel non piegarsi. “Non sapevo in me tanta forza”, scriveva alla moglie il partigiano “Pino”, Giuseppe Casana, detenuto a Torino, dove si era trasferito – da Piacenza – con la famiglia e dove venne fucilato dai tedeschi, a soli 36 anni, nell’ottobre del ’44, il suo corpo lasciato inerte in piazza Statuto per 24 ore accanto agli altri uccisi insieme a lui, come atto dimostrativo e intimidatorio.

E dal buio una cella, nel carcere di Parma, scriveva anche il partigiano Mirko, il 18enne Giordano Cavestro, mentre nel maggio del ’44 attendeva la propria esecuzione: “Io muoio. Ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e la ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata, ma sono sicuro che servirà da esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà”. Sono semplici e nitidi, questi frammenti di quotidianità spezzata, così come limpido è il pensiero di un ragazzo che ha sacrificato tutto nel nome della Patria.

Teniamole a mente, allora, queste frasi. Lasciamo che ci tocchino il cuore in questa giornata di primavera che non possiamo trascorrere insieme, ma ci fa sentire ugualmente vicini, parte di una comunità che in queste settimane ha saputo fare scelte difficili e responsabili, che non vuole smettere di sperare, che oggi rende omaggio ai Caduti per la Liberazione e avverte, al tempo stesso, tutto il peso delle ferite laceranti inferte dal Coronavirus.

Che questo 25 aprile, richiamando l’unità di intenti su cui si fondò la Resistenza, possa essere il monito e l’esempio da cui avviare, insieme, un nuovo percorso di rinascita e di ricostruzione, nel segno di un impegno condiviso cui ciascuno di noi può scegliere consapevolmente di contribuire.

Più volte, in questi due mesi, ho affermato che siamo in guerra. Perché come in guerra si muore, perché come in trincea lottano – con infaticabile dedizione e spirito di servizio, con coraggio e senza risparmiarsi – tutti coloro che operano in prima linea a tutela della collettività, assistendo chi è malato, continuando a garantire un fondamentale presidio del territorio. E’ a tutti loro che oggi vorrei dedicare questa festa, perché la loro etica professionale, l’umanità e il coraggio di cui danno prova ogni giorno rendono onore ai valori e ai princìpi fondanti della Resistenza; nonché all’esempio dei tanti medici e infermieri che, in quegli anni, fecero una precisa scelta di responsabilità e umanità, pagandola anche con la propria vita.

Come il medico torinese Rinaldo Laudi, radiato dall’Albo nel 1938 perché ebreo, rifugiatosi a Piacenza dove si nascose presso la clinica Lodigiani prima di unirsi a “Giustizia e Libertà” come “partigiano Dino”, fucilato agli inizi del 1945. O il dottor Gaetano Lecce, originario di Salerno, medico condotto di Pianello e Pecorara, sopravvissuto ad Auschwitz dove venne internato perché colpevole, dopo il 1943, di aver prestato le proprie cure alle prime divisioni partigiane e a pazienti di religione ebraica.

Anche nel loro nome, oggi rendiamo l’omaggio commosso e partecipe di Piacenza al sacrificio di una generazione – quella che più di ogni altra il virus sta strappando al nostro affetto – che ci ha tramandato quei valori di pace e di libertà che è nostro compito rinnovare, come guida del nostro cammino e insegnamento per i nostri giovani.

Viva l’Italia libera e democratica e, lasciatemelo dire con più forza e commozione che mai, viva Piacenza.

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