“C’è ancora chi non accetta questa festa nazionale. C’è ancora chi le ferite della guerra civile, che c’è stata indubbiamente, le porta come se questo comportasse una contrapposizione al fatto, è un fatto acclarato, che la nostra costituzione è nata dall’antifascismo, dall’unione delle forze antifasciste per merito della lotta partigiana e non solo della guerra degli anglo-americani”.
Il noto giornalista Gad Lerner è stato oratore ufficiale di questo 25 aprile piacentino, invitato dall’Anpi provinciale. Lerner ha parlato agli assenti, agli “smemorati”.
“Si dovrebbe provare molta riconoscenza verso i partigiani, e invece c’è ancora chi vuole denigrare i partigiani cercando di metterli sullo stesso piano di chi praticava la tortura, la rappresaglia e la deportazione di massa e quindi il disonore dell’Italia che invece è stato riscosso appunto dai liberatori. E questa lezione noi dobbiamo perpetuarla, perché il grande pericolo di oggi è la smemoratezza. Noi dobbiamo provare sempre a metterci nei panni dei ragazzi che fecero quella scelta”.
“Non è solo un tema di dimenticanza o analfabetismo, credo che sia una manovra. Credo che ci sia chi confida nelle dimenticanze per poter riproporre un nazionalismo bellicista, per poter riproporre il disprezzo per gli intellettuali, la censura. Credo che conoscere le storie di chi fece 80 anni fa una scelta di rivolta così coraggiosa ci aiuti anche per l’oggi e per il domani nel nuovo clima di guerra che stiamo vivendo”.
“Oggi al governo c’è un partito politico che non ha mai festeggiato il 25 aprile e allora è giusto sintetizzare il perché siamo qui e chiederci anche perché questa festa divide ancora. Se dovessi dire perché siamo qui in poche parole direi che il 25 aprile è la festa di chi non crede che la democrazia sia un regalo piovuto dal cielo e che basti affidarsi a un capo per conservarcela”.
“Il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista”. A partire dalle parole di Antonio Scurati, che oggi riecheggiano in tante piazze d’Italia, pongo una domanda: come può una Repubblica democratica, figlia della Costituzione scritta col sangue delle donne e degli uomini che hanno lottato per la Resistenza, non ritrovare nell’antifascismo il fondamento condiviso e irrinunciabile dello Stato italiano? Perché è questo che si celebra, il 25 aprile: la Liberazione da un regime dittatoriale che per vent’anni ha oppresso la popolazione e soffocato ogni forma di pluralismo, usato lo squadrismo per minacciare e intimidire, internato e mandato a morte oppositori e voci dissenzienti, perpetrato stragi di brutalità indicibile e promulgato senza vergogna le leggi razziali, facendo proprie – nell’ideologia e nell’efferatezza di rappresaglie e rastrellamenti – le aberrazioni del nazismo”.
Il sindaco Katia Tarasconi cita Antonio Scurati, al centro delle polemiche dei giorni scorsi dopo la cancellazione da parte della Rai di un suo monologo.
“Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia?”, scrive ancora Scurati. Ebbene, io penso che lo stia chiedendo non a una fazione, ma a ciascuno di noi cittadini di un’Italia libera, che credono nei diritti inalienabili della persona e nel valore universale della pace. In quell’interrogativo, io leggo il bisogno di non dimenticare mai di quale altissimo sacrificio questi diritti siano il frutto e il dovere di rendere omaggio, a chi per essi ha dato la vita, non solo riaffermandone pubblicamente la consapevolezza, ma sentendone il richiamo nel nostro senso civico, nelle scelte etiche e morali che compiamo ogni giorno.
Perché di quella storia, volenti o nolenti, siamo tutti eredi nel momento in cui ne approfondiamo le pieghe, ne soppesiamo la gravità e le conseguenze, ne piangiamo i morti. L’antifascismo non è una corrente, non è un’opinione; è il respiro, l’essenza, il battito della nostra democrazia e del nostro sistema politico, che senza queste radici non avrebbe avuto linfa e nutrimento per crescere.
Lo ribadiamo oggi nel nome di Giacomo Matteotti, assassinato dalla polizia segreta fascista il 10 giugno 1924, dei suoi tre figli e di sua moglie Velia Titta, che invano chiese a Mussolini che ne fossero restituite le spoglie. Nel nome del comandante Agostino Covati e di Pino Fumi, partigiano della Brigata Giustizia e Libertà, che un anno fa era qui con noi in questa piazza accanto a Renato Cravedi e Ugo Magnaschi; nel nome di Rambalda, giovane sposa staffetta sui nostri monti con una bimba in braccio.
L’antifascismo ha il volto di ciascuno di loro. Nel nome di quella Medaglia d’oro al Valor Militare per la Resistenza di cui Piacenza è orgogliosa, che il 25 aprile brilla nei riverberi di una memoria che non si cancella. E che nessuno può mettere a tacere. Viva l’Italia libera e democratica, viva la Resistenza.
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