Nel nostro Paese parlare di soldi – in pubblico quando in privato – resta un tabù, ma tutti gli italiani devono fare quotidianamente i conti con le proprie entrate e le proprie spese. Negli anni si è perso sempre più potere d’acquisto, ci siamo indebitati privatamente e pubblicamente, le pubbliche amministrazioni faticano a pagare e le imprese ad avere accesso al credito tradizionale. A livello locale associazioni e attori del terzo settore si rivolgono quasi esclusivamente alle fondazioni per riuscire a sviluppare progetti e portare avanti iniziative. Il tutto negli anni del PNRR, arrivato con la promessa di abbondanza di risorse per chiunque e finito in acque tormentose. In tutto questo, fatichiamo ancora – a tutti i livelli – a misurare e tenere conto delle ricadute e dell’effettivo impiego delle nostre risorse.
Ma è davvero un problema di soldi? O non è più una questione di cultura e capacità? E magari di giuste priorità e di progetti all’altezza delle ambizioni che – come singoli e come collettività – abbiamo smesso di avere? Come è cambiato il risparmio degli italiani? E che trasformazione sulla nostra società può avere la finanza d’impatto? Ne hanno parlato Federico Ghizzoni e Massimo Lapucci.
“Per quanto riguarda il risparmio c’è un po’ di sfiducia, ma va superata perché il risparmio è fondamentale in ogni paese. Bisogna ridare valore al risparmio, portarlo al centro, anche la Costituzione italiana tutela il risparmio”, spiega Ghizzoni.
“L’iniezione di fiducia deve partire dall’alto, chi deve conquistarsi la fiducia deve darsi da fare in tal senso. Io vengo dal mondo delle banche, a partire dalle banche. Ci vuole più cultura finanziaria in senso lato. Per esempio basterebbe un punto percentuale in più sui conti correnti bancari per generare in Italia circa 20-25 miliardi di ricchezza finanziaria in più”, continua Ghizzoni.
“Per quanto riguarda il PNRR, si parla tanto di risparmio investito in sostenibilità, se pensiamo al PNRR e ai progetti sottostanti, la grande sfida potrebbe essere come indirizzare il risparmio delle famiglie a sostenere lo sviluppo di questi progetti che sono progetti chiave e quindi dovrebbero avere un ritorno finanziario da riconoscere agli investitori. Mentre questo oggi non avviene: sono progetti finanziati da fondi europei o da fondi che raccoglie direttamente lo Stato, ma non c’è il legame col cittadino, con le famiglie. Un tempo tutto sommato questo c’era: c’erano le cartelle fondiarie tanti anni fa, forse anche recuperare qualcosa dal passato potrebbe essere interessante. Però canalizzare il risparmio su progetti che sono chiave per lo sviluppo del paese è un problema che oggi in Italia c’è e andrebbe risolto”, conclude Ghizzoni.
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