«Cosa deve accadere a Piacenza dopo il 4 maggio? La vita deve ripartire, questo è certo, ma siamo preparati ad affrontarla in sicurezza? Abbiamo considerato tutte le possibilità? Esiste un piano chiaro, preciso? La Sanità piacentina è pronta? Quanti tamponi e test sierologici vengono garantiti giornalmente per tenere sotto controllo i contagi?»
Sono domande cruciali in questo momento storico, e a porsele è la consigliera regionale del Pd in Emilia-Romagna Katia Tarasconi che decide di affrontare un tema difficile ma necessario: «Dopo due mesi di sacrifici, di dolore, di lutti – dice – abbiamo tutti il desiderio di ritornare alla normalità. Siamo ormai alle porte della “fase 2” e lo sguardo è inevitabilmente proiettato verso il futuro. Ed è uno sguardo che in questi giorni viene aiutato ad essere positivo dalle dichiarazioni rassicuranti che arrivano da molte parti. Il concetto che sta passando è che la situazione è sotto controllo».
Siamo sicuri che lo sia? «Alla necessità di programmare il ritorno alla vita attiva – sostiene Tarasconi – è da affiancare l’obbligo di prevedere lo scenario peggiore. E al tempo del coronavirus lo scenario peggiore corrisponde all’eventualità che i contagi riprendano, come purtroppo sta avvenendo in altre parti d’Europa che avevano anticipato l’allentamento delle misure restrittive».
Piacenza è un territorio che non può essere considerato al pari di altri in Italia e nel mondo. Lo ribadisce Katia Tarasconi: «L’incidenza di mortalità da Covid-19 è la più alta a livello nazionale; più delle lombarde Bergamo, Brescia e Lodi, per intenderci. Parliamo di 859 decessi, di cui 33 solo negli ultimi 4 giorni, e oltre 4mila casi in totale, di cui 250 sempre negli ultimi 4 giorni. Sono numeri che dovrebbero far riflettere».
«Per poter dire di esserci lasciati alle spalle il pericolo concreto che l’epidemia abbia di nuovo l’effetto devastante che ha avuto nel periodo di picco, se non peggiore, devono realizzarsi alcune condizioni imprescindibili».
Tarasconi le elenca: «Prima di tutto tamponi e indagini sierologiche a tappeto. Quindi individuazione dei nuovi contagiati e attivazione immediata della rete di protezione per tutti i loro contatti, che dovranno essere raggiunti, visitati, tracciati e isolati».
Questo del tracciamento con i test è un punto determinante: «Se non siamo nelle condizioni di poter sapere chi sono i contagiati e con chi sono entrati in contatto – dice Tarasconi – rischiamo di ricadere nel baratro».
E’ un impegno notevole, ma SE il sistema non è pronto ad affrontarlo il rischio è che si vanifichi lo sforzo fatto finora. E tutto questo, aggiunge la consigliera regionale, «potrà avvenire solo con l’impegno e la collaborazione anche dei Sindaci».
E ancora: «Devono essere potenziate le visite e le cure direttamente a casa delle persone e nelle strutture dedicate ai malati». Poi c’è il tema delle cosiddette Usca, le unità speciali dell’Asl che si muovono sul territorio provinciale visitando, facendo tamponi e somministrando cure; sono un tassello importantissimo nella gestione dell’emergenza, ora e nel prossimo futuro. «Quante sono queste unità? – chiede Tarasconi – Dobbiamo aumentarle? Ultima condizione, ma non certo per importanza: «Fondi adeguati alla situazione particolare in cui si trova Piacenza».
Condizioni imprescindibili, dunque, affinché un’eventuale recrudescenza del virus non abbia effetti devastanti. «E’ prioritario che la Sanità piacentina si senta pronta – conclude la consigliera regionale -, che abbia un piano preciso nel caso in cui dovessero emergere nuovi focolai, nel caso in cui l’allentamento delle restrizioni dovesse corrispondere a una nuova ondata di contagi». Katia Tarasconi se lo chiede: «E’ così? Siamo veramente pronti? Perché non possiamo permetterci di non esserlo».
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