E’ una lunga e interessante storia quella della Fabbriceria di Santa Maria di Campagna, durata quasi tre secoli (dal 1521 al 1814) e raccontata questa sera da Elena Montanari durante la conferenza (per “I Giovedì della Basilica”) che si è tenuta nella Biblioteca del Convento nell’ambito del programma di Celebrazioni dei 500 anni di Santa Maria di Campagna, a cura della Comunità francescana e della Banca di Piacenza.
Il condirettore generale della Banca Pietro Coppelli, introducendo i lavori, ha compiuto una panoramica sull’attività dei Fabbricieri contestualizzando il periodo storico e sottolineando come «le scelte estetiche compiute dal gruppo di nobili e cittadini che decisero di costruire una nuova chiesa che potesse accogliere i fedeli e i pellegrini devoti alla Madonna di Campagna, sempre più numerosi» fossero state condizionate «dalla nuova idea del bello nata con il Rinascimento».
L’arch. Montanari – che ha mostrato una serie di antichi documenti già tradotti e citati da vari autori, tra i quali padre Andrea Corna, ma mai riprodotti – ha ricordato alcune date fondamentali. Il 27 dicembre 1521 il rogito stilato dal notaio piacentino Giovanni Francesco da Parma sancì la nascita della Fabbriceria; il 4 marzo 1522 vennero stabilite le regole di funzionamento della Congregazione in 12 punti; il 3 aprile 1522, presso l’abitazione dello speziario Pedro Scarpon, venne stipulata la convenzione con Alessio Tramello; il 13 aprile 1522 ci fu la posa della prima pietra (evento festeggiato appunto dalla Banca con 12 mesi di eventi), benedetta dal vescovo card. Scaramuzza Trivulzio e da mons. Pietro Recorda («le opere murarie si conclusero in soli 6 anni»), che confermò la prima Congregazione, della quale facevano parte Nicolò Burla (per il priore di Santa Vittoria), Luigi Mancassola (per il Collegio dei Giudici), Girolamo Rizzoli (per l’Abate di San Sisto), Tommaso da Fontana (per il Convento di S. Benedetto), Filippo Arcelli (per il Collegio dei Notai), Filippo da Fontana (per il Collegio dei Mercanti), Pier Antonio Rollieri e Nicolò Banduca (entrambi rettori dell’anno precedente).
«La Fabbriceria – ha evidenziato la relatrice – si occupò di redigere i contratti con le maestranze al fine di rendere grandiosa la chiesa. La quantità dei lavori effettuati è comprovata dalla mole dei relativi documenti che compongono l’archivio storico. I Fabbricieri intervenivano personalmente nella cura e nell’abbellimento del tempio. Se ne ha riscontro ammirando la decorazione della Cappella Rollieri, detta anche della Natività, dipinta dal Pordenone». Sempre dall’approfondito esame della documentazione, l’arch. Montanari ha ricavato due curiosità: nella convenzione con Alessio Tramello i Fabbricieri ottennero uno sconto indicandolo nel contratto con “lo lascia per elemosina e per amor della Madonna”, mentre Francesco Mochi si accontentò (siamo nel 1616) del rimborso spese per la realizzazione della statua del duca Ranuccio I.
Detto che, negli anni, i rapporti tra i Fabbricieri e i Frati Minori Osservanti non furono sempre sereni e che gli stessi Fabbricieri rivendicarono inutilmente la proprietà della chiesa di Campagna senza mai ottenerla, la relatrice ha concluso la sua approfondita disamina ricordando che fu con il governo di Maria Luigia d’Austria che i Francescani poterono rientrare in Santa Maria di Campagna (vennero allontanati nel 1810 con l’editto imperiale che soppresse tutte le case religiose del ducato, con la consegna dei loro beni al demanio). La nuova Congregazione era composta dal Podestà come presidente, dal padre guardiano e da 7 consiglieri municipali da eleggersi nello stesso corpo comunale. La Fabbriceria, dopo quasi tre secoli, cessò così di esistere.
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