Terapia precoce appena compaiono i sintomi influenzali, per sconfiggere il Coronavirus. E’ chiara l’opinione del Prof. Alessandro Capucci ordinario di malattie dell’apparato cardiovascolare già primario della cardiologia all’ospedale di Piacenza e direttore della scuola di specialità in malattie cardiovascolari presso l’Università Politecnica delle Marche, dal 2008 Professore ordinario di Cardiologia e Direttore della scuola di specialita’ in Malattie dell’ Apparato Cardiovascolare presso Ospedali Riuniti Ancona. Molto legato alla città di Piacenza, noto per aver dato il via a Progetto Vita e alla rete dei defibrillatori, insieme alla Dr.ssa Daniela Aschieri.
Il Prof. Alessandro Capucci, ospite in diretta su Radio Sound alla trasmissione “La domenica piacentina al tempo del coronavirus”
E’ intervenuto definendo la strategia iniziale tracciata dalla Protezione Civile, in accordo con la commissione tecnico scientifica , ovvero di attendere senza terapia a casa fino alla possibile comparsa di severa dispnea) , una strategia che si è rivelata fallimentare e che ha aggravato situazioni infiammatorie. Un’attesa troppo lunga, senza trattare, è la causa principale dello sviluppo di reazioni infiammatorie molto importanti che questo virus notoriamente scatena attaccando le catene 1-Beta della emoglobina e che sono la causa principale delle polmoniti interstiziali e miocarditi, alla comparsa delle quali vi è bassa probabilità di sopravvivenza.
“E’ comprensibile – risponde il Dr. Alessandro Capucci – che all’inizio di una epidemia come questa non ci siano delle direttive precise e quindi si possa brancolare nel buio. Dare alcune direttive come quelle che sono state date è comprensibile. Ma passati due mesi e mezzo, con 1000 morti al giorno, perseguire una strategia chiaramente fallimentare è chiaramente dannoso.
Si è capito molto bene qual è l’andamento di questa patologia da coronavirus. Una cosa è ammalarsi per carica virale e l’altra è sviluppare all’interno del nostro organismo un eccesso di reazioni infiammatorie da coronavirus.
Oggi non abbiamo le armi dirette per contrastare il virus però per combattere le infiammazioni, sì.
Questa strategia di attesa somministrando solo tachipirina è come dare ai soldati il pugnale per andare contro le mitragliatrici; soluzione assolutamente inadeguata e nel frattempo l’infiammazione avanza, ingrandisce fino ad arrivare ai problemi polmonari e generali degli organi.
Bisogna aggredire il virus, bisogna farlo per tempo, prima di arrivare in ospedale, prima che si aggravi.“
“La storia ci insegna che ogni epidemia va combattuta nel territorio. Non possiamo pensare di combattere un’epidemia in ospedale.
Pensiamo ai danni causati da questa strategia; prima ha accentuato i malati di covid-19 in ospedale, esponendo gli altri ammalati e i medici stessi. Gli ospedali sono diventate strutture solamente per la cura del coronavirus, trascurando tutte le altre patologie.
Parliamo di mortalità. Pazienti che avrebbero dovuto essere in ospedale e, grazie questa strategia, non sono stati ricoverati. Nel mese di marzo sono stati ricoverati il 50% in meno di infarti miocardici ma non perché siano venuti meno ma sicuramente perché molti che hanno avuto anche un dolore hanno aspettato, prima di andare in ospedale per paura di contrarre il coronavirus. Magari molti di queste potrebbero anche essere deceduti nel loro domicilio.
E’ un problema strategico fondamentale. Finché si tratta di una settimana puoi anche sbagliare ma quando vedi che la strategia è sbagliata, bisogna cambiarla. Cambiare strategia vuol dire intervenire subito, a casa del malato non in ospedale. “
Si è parlato di vari farmaci che si possono utilizzare. Oggi, a 2 mesi di distanza, ci sono anche dei risultati che ci danno la possibilità di capire qual è il farmaco che può essere utilizzato, quello che ha dato risultati migliori?
Idrossiclorochina è un farmaco antimalarico, usato come antinfiammatorio si usa anche nei pazienti colpiti da lupus eritematoso sistemico in terapia cronica. Il Tocilizumab però di cui attualmente non sappiamo di grandi esiti sul coronavirus.
I farmaci hanno importanza per il loro effetto ma soprattutto per la tempistica in cui vengono utilizzati. Le stesso farmaco se impiegato quando il paziente ha già sviluppato una patologia polmonare avanzata, potrebbe avere una scarsa efficacia. Ma se lo impiego subito, al manifestarsi della sintomatologia, questa efficacia potrebbe essere molto più importante.
Quando verifico i risultati di studi clinici devo capire in primo in quali pazienti ho dato questa sostanza, in secondo a quale stadio della malattia viene somministrato. I risultati e quindi le implicazioni terapeutiche, possono essere completamente diversi. Molti farmaci che sono stati utilizzati in pericolo nadirus sono stati utilizzati in ospedale, nella fase già avanzata della malattia e molti si sono scontrati con questa difficile situazione. A quel punto è molto difficile tornare indietro, è molto difficile bloccare la patologia quando c’è già una trombosi generalizzata, quando ci sono già degli elementi crematori molto marcati.
Trattare, con lo stesso farmaco, la patologia nella fase iniziale quando ancora non si sviluppa quella grande infiammazione porta degli effetti ben più importanti.
Tutti i farmaci non vanno somministrati da soli ma sotto controllo del medico di medicina generali. In ogni farmaco ci sono degli effetti collaterali e vanno tenuti monitorati.
Uno studio cinese, proprio della comunità di Wuhan, ha dimostrato che usando questo farmaco in fase precoce non si arriva al respiratore. Nessuno dei pazienti trattati precocemente, era andato a terapia con respiratori e nessuno si era aggravato al punto tale da dover essere ricoverato a terapia con respiratore o ventilato meccanicamente. “
“Ho ben guardato la letteratura e questi rischi di cardiotossicità sono stati tirati fuori da studi con la clorochina e non con l’idrossiclorochina. La clorochina è più tossica dell’idrossiclorochina inoltre sono estratti da studi in cronico cioè pazienti che avevano patologie croniche che per anni venivano trattati con questa terapia. Si è visto da alcuni effetti collaterali ma per terapie prolungate.
In questo caso parliamo di una terapia di 7 giorni con una dose media. Ancora una volta gli studi riportati sono stati presi ma non sono adatti al tipo di terapia che si va a proporre per il coronavirus. E’ abbastanza strano che la comunità scientifica pubblichi questi dati inappropriatamente e in un momento in cui ci sarebbe bisogno di avere delle sostanze utili come questa.
Quali sono le ragioni?
Non sappiamo perchè accade. Può essere un misto di più situazioni. L’idrossiclorochina viene prodotta come Plaquenil dalla ditta francese, Sanofi, un’unica ditta al mondo. Viene spontaneo pensare al mondo degli affari. Grandi gruppi magari non ce l’hanno e quindi non amano che un altro gruppo più piccolo possa avere questo farmaco.
Inoltre noto che non tutte le persone che ho visto parlare in televisione si possono dire degli scienziati anche se sono chiamati professori.
Prima di poter avere un medicinale, l’Aifa vigila e controlla le Officine di Produzione delle aziende farmaceutiche per garantire la qualità della produzione dei farmaci e delle materie prime (GMP).
“Uno dei problemi che abbiamo in Italia e proprio la gestione della sanità.
Per fare un confronto, ho fatto un filmato in inglese e pubblicato il 31 marzo in un social americano, “COVID-19 Experiences: Providers Only“. In questo video spiego che con l’associazione di eritromicina e idrossiclorochina poteva salvare vite. Due giorni dopo è stato suggerito a Trump, da parte del suo consigliere, di utilizzare questa associazione. Lo stesso giorno è stato detto all’americana di poterlo utilizzare perché il beneficio è sicuramente superiore al rischio. Parliamo di un altro mondo. Lo stesso giorno in Italia, l’Aifa diceva di stare attenti agli affetti collaterali dell’idrossiclorochina.”
“Ottima intuizione, ripresa da diverse parti – afferma Capucci – e oggi ci sono anche degli studi che l’Aifa sta promuovendo come seconda fase della malattia.
Se uno ha i primi sintomi influenzali, oggi dovrebbe essere trattato con l’associazione azitromicina idrossiclorochina subito a casa. Ogni influenza oggi deve essere considerata comunque da coronavirus. Senza fare nessun tampone, non ce n’è bisogno. La tratti già come coronavirus.
E’ possibile che malgrato questo è la patologia avanzi, ci sia unpo stato infiammatorio importante e compare la dispnea a quel punto va eparinizzato.
L’eparina interviene in modo importante nella seconda frase quando infiammazione è già evoluta e compare il sintomo dispnea.
Per due motivi:
No, ci sono dei dati che mettono in evidenza come, in questi pazienti, l’eparina sia efficace solo a dosi scoagulanti. Bisogna raggiungere delle dosi importanti che non puoi fare a casa senza controllo. A casa si può fare la calciparina sottocute a dosi più basse, però non è efficace per controbattere l’effetto che ha l’eparina nell’infiammazione del virus.
Alla comparsa dei primi sintomi influenzali si inizia una cura con azitromicina e idrossoclorochina. Alla comparsa di dispnea si effettua il ricovero e si inizia una cura con eparina.
La terza fase esiste sempre. Queste malattie dipendono dalla carica virale che uno ha e dalla reattività che la persona ha rispetto alla carica virale. Sono molto variabili da persona a persona.
Però applicando una strategia come quella che abbiamo detto, io penso che almeno il 60/70% delle malattie da coronavirus possono essere bloccate prima di arrivare al respiratore.
E’ di oggi la notizia che da studio americano è stato portato alla conoscenza ma non ancora pubblicato, un terzo farmaco. Il remdesivir, farmaco antivirale è stato trovato efficace nei pazienti che hanno patologia già avanzata.
Somministrando il farmaco a pazienti in ospedale con respiratore, si è visto che in 7 giorni uscivano dal respiratore. Sarebbe un ulteriore aiuto per uscire da questo incubo del coronavirus.
Si parla di un vaccino come soluzione anche per un eventuale ritorno del coronavirus in autunno. Vaccino che potrebbe essere reso obbligatorio per operatori di diverse categorie e per le persone dai 65 anni in su.
“Sugli obblighi ci andrei con i piedi di piombo. Se abbiamo queste sostanze, cambiando quindi completamente la strategia che è stata fatta fino adesso, abbiamo già grandi probabilità di poter convivere col virus senza temere più di tanto.
Un vaccino ha la sua utilità però non vedo perché deve essere esteso in modo così drammatico rispetto al normale vaccino antinfluenzale. E’ chiaro che le persone che hanno il diabete che hanno situazioni già di scarsa immunoreattività, potrebbero fare un vaccino. Ammesso che sia un vaccino testato in modo sicuro prima. Questa corsa al vaccino mi fa anche temere che si saltino alcuni processi che sono fondamentali.
Prima di vaccinare soprattutto le persone anziane che sono più fragili, vorrei avere dei dati certi che questo vaccino sia sicuro e che non porti degli effetti avversi. Il tempo per avere queste sicurezze ci vuole, da qui a all’autunno la vedo un po’ rapida per avere dei dati certi.
Qualunque vaccino che ci possa aiutare all’immunità contro questo virus, ben venga. Teniamo conto però anche che questo virus, ce l’hanno detto virologi, è particolare perchè ha un’alta capacità di trasformazione. Non è detto che il vaccino sia proprio quello che andrà a colpire il virus che verrà fuori in quel periodo e che potrebbe essersi trasformato”
Ci hanno detto che per la sperimentazione di un vaccino ci vogliono anni poi hanno cominciato a ridurre a un anno, a sei mesi, adesso ci informano che avremo un vaccino nel giro di un paio di mesi, sono un po’ preoccupata
“Addirittura qualcuno ce l’avrebbe già – incalza il Dr. Capucci – vuol dire allora che era già presente prima perché per avere già adesso il vaccino vuol dire che è stato testato alcuni mesi fa e quindi vuol dire che questo virus non è proprio una novità.
Mi ha colpito molto fin dall’inizio una serie di circostanze un po’ strane; che c’era questo laboratorio proprio a Wuhan che studiava il coronavirus e le modifiche di questo coronavirus e che proprio a Wuham è cominciata questa patologia.
L’idea iniziale era che fosse sfuggito al controllo a livello laboratoristico più che un evento avvenuto venuto dall’esterno. Prima sembrava che questo non fosse vero, alcuni virologi internazionali lo hanno escluso. Mi sembra che ultimamente si stia riprendendo questa evenienza.
Sull’Avigan ci sono dati contrastanti. Conosciuto in Giappone e in fase di studio, non è proprio utilizzato su larga scala.
Ci sono già alcuni rumor di dati ma vanno valutati perché bisogna vedere a che pazienti l’hanno dato. Ripeto se lo dai ad paziente che hanno già un infiammazione avanzata non è che ti puoi aspettare tanto. Andrebbe comministrato in fase precoce, allora può darsi che abbia degli effetti importanti.
Oggi abbiamo qualche certezza. Questa associazione di azitromicina e idrossoclorochina funziona, è una certezza. Si possono associare altre sostanze e magari diventano anche più efficaci e ben vengano.
Però questo va comunque a modificare in ogni modo la strategia attuale. Non possiamo sederci su centinaia di morti al giorno quando ci sono strategie che possono calare nettamente questo tipo di mortalità e rendere il virus una patologia. Patologia si importante ma non così temibile come l’è stata fatta passare, fino ad ora.
Una donna ci segnala che a distanza di due mesi dall’inizio della malattia, dopo essere risultata positiva al coronavirus, non è ancora guarita. Non ha mai avuto delle manifestazioni infiammatorie tanto da rendere necessario il ricovero in ospedale, però sta ancora male. Come lei ci sono tantissime altre persone che si trovano in questa situazione.
“Continuare a stare male è un problema che va chiaramente affrontato a livello medico e con una strategia terapeutica; magari con una tac, più profondità. Altra cosa è aver passato una malattia ed essere ancora positivo al tampone. Purtroppo si fa confusione fra le due cose.
Le persone che sono a casa dipendono esclusivamente dal loro medico di base che deve decidere qual è la terapia e se vogliono fare degli esami più approfonditi spesso il medico dice di no, non si può uscire. C’è un altro numero di persone a casa con questi sintomi.
Questo è il punto che bisognerebbe affrontare. Va cambiata la strategia. Vedo una grande resistenza da parte delle istituzioni perché nessuno vuole ammettere di essersi sbagliato. Cambiare la strategia è in qualche modo ammettere che hai sbagliato e soprattutto si è continuato a sbagliare.
Il medico di base è quello che deve curare a casa questo tipo di malattia con una terapia che deve applicare a casa del malato. L’aifa mette qualche paletto. C’è uno studio in cui credo che sia coinvolto anche il centro di Piacenza sull’impiego di idrossiclorochina nella fase acuta della influenza da coronavirus. Però sono tutti i dati che verranno tra un po’ di tempo mentre il farmaco è già utilizzabile oggi. Ci vuole un cambio di strategia.
L’ecografia può avere molti limiti. E’ un esame che può essere utile nella fase acuta quando voglio dimostrare che la dispnea che il paziente ha sia associata a un impegno polmonare. In cronico dubito che l’ecografia possa dare delle indicazioni importanti, in situazioni come questa in cui c’è un mese di andamento cronicizzato della patologia. Sicuramente la Tac è l’esame più preciso per valutare in sicurezza e precisione l’andamento del polmone.
Ho scritto un articolo recente che si intitola “Opinione controcorrente, il pasticcio dei tamponi del test di ricerca anticorpale“. Sono molto molto critico per un impiego a larga massa di queste metodi diagnostici per motivi precisi. Il margine di errore dei tamponi è piuttosto elevato, parlo dei tamponi orofaringei. Ci sono dei dati già esistenti in letteratura che mettono in evidenza molti falsi positivi e falsi negativi, anche in fase avanzata. C’è un margine di errore nella valutazione del tampone stesso. Inoltre c’è una variabilità interindividuale di risposta che può anche essere secondaria a precedenti contatti col coronavirus che non riflettono necessariamente la patologia in atto. Uno può avere avuto un raffreddore da coronavirus che non è detto che sia questo coronavirus ma che al tampone risulta positivo.
Avere un tampone positivo non vuol dire necessariamente sviluppare o aver sviluppato la malattia. Continuare ad avere un tampone positivo, dopo che uno è stato malato e tecnicamente guarito, non vuol dire che questa persona sarà infettante. Perché potrebbe essere che la carica che ha, non è tale da poter essere infettanti. Giudicare in base a al tampone, chi potrà riprendere l’attività è fallace. Non è scientificamente provante. Motivo per cui adesso ci si è spostati sui test anticorpali. Ma la risposta anticorpale, dobbiamo dire subito, non è necessariamente specifica per il coronavirus. E’ un indice generico di un possibile contatto col virus o con altri agenti che hanno determinato questo tipo di reattività dell’organismo. Tempisticamente le due cose sono molto diverse. Il professor Galli, uno dei virologi più famosi, ci ha detto come lui non farebbe test anticorpale senza il tampone. Quindi il test anticorpali di per sé vuol dire che non è provante. Lo dobbiamo associare al tampone e se facciamo una valutazione del costo estendendolo a buona parte della popolazione, si arriva intorno i 4/5 miliardi di euro.
Per cui dietro si intravedono interessi di business, economici.
La penicillina è considerata la base degli antibiotici ed è farmaco efficacissimo a livello batterico ma molto meno a livello virale. La penicillina col virus non ha mai avuto una grande efficacia, infatti l’azitromicina è un antibiotico si, ma anche con un effetto antivirale dimostrato. La penicillina da sola non serve.
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