Una sensazione già vissuta il giorno in cui era venuto a mancare Marco: stare lungo la pista d’atletica a scattare foto è un pugno nello stomaco. Perché ci sono i cori, i battiti di mani, le torce, le bandiere. Perché ci sono 500 persone sui gradini della Curva Nord, alcune delle quali provenienti da altre città. E stando sulla pista d’atletica quell’onda d’urto te la prendi tutta. E allora ti ricordi quando da giovanissimo andavi allo stadio, le domeniche trascorse in curva, ti ricordi la versione della “haka” neozelandese sapientemente reinterpretata, ti ricordi la “messa”, ti ricordi le battute, ti ricordi tante cose. Davide era diventato un simbolo, come anche Marco. E come il fratello, Davide ha ricevuto il giusto tributo dalla sua gente e dai rivali. Nel suo stadio, davanti alla sua squadra. In centinaia hanno raggiunto il Garilli per salutare Davide.
“Non c’è bisogno che ve lo dica, stasera dobbiamo tirare fuori la voce. Non facciamolo incazzare”, premette Simone “Mone” Carini, volto storico del tifo biancorosso.
“Stasera c’è quel mondo, il mondo ultras, del quale la tua gente ha potuto conoscere l’essenza, e questo grazie a te. Quel mondo che resterà per sempre la tua vita. Tutto questo è per te, tu eri questo: un enorme uomo dal cuore immenso, dalla battuta sempre pronta, ma soprattutto hai sempre avuto una parola per tutti”.
E questo è vero, Davide ha sempre avuto una parola per tutti, in curva ti salutava anche se era la seconda volta che ti vedeva. Perché in curva ci si deve divertire e si deve cantare. Guai se non cantavi.
Dopo Simone ha preso la parola Alessandro Cesarini, capitano del Piacenza.
“Davide era l’essenza del tifo del Piacenza, un simbolo di Piacenza e del Piacenza. Ogni volta che veniva da noi ci trasmetteva tutto il suo amore per questi colori e cercava di infondercelo. Il Piacenza era la sua vita e lo ha dimostrato in questi suoi 53 anni, riconosciuto in tutta Italia e in tutta Europa. Noi siamo orgogliosi di averlo conosciuto e di aver potuto apprezzare la persona”.
Qualcuno dice “con lui se ne va un’epoca”. E in un certo senso è vero. I piacentini più anziani hanno una strana sensazione: “Non ricordo, ma io ho mai visto la curva Nord senza Davide? C’era già quando ero piccolo”. Ed è proprio così. E non ha difeso il Piacenza solo sugli spalti, lo ha difeso anche quando si trattava di scartoffie e passaggi di proprietà. “Mi hanno chiamato da Foggia e Venezia, di questi non c’è da fidarsi”, diceva quando una cordata di sedicenti imprenditori arrivò a Piacenza per acquistare la società (ce lo ricordiamo tutti). E aveva ragione. Affrontò faccia a faccia uno di questi “signori” e insieme ai suoi ultras contribuì a far emergere la verità, facendoli scappare con la coda tra le gambe. Affrontò faccia a faccia i giocatori che, secondo il suo parere, avrebbero dovuto dare il massimo in quel momento terribile e che invece, sempre secondo lui, battevano la fiacca. Il video di quel faccia a faccia divenne virale su YouTube: un gesto esagerato, senza dubbio, ma frutto di una situazione esasperata per chi, come Davide, viveva per quei colori. Un gesto che, nel bene e nel male, è divenuto storia. Storia di una Piacenza sportiva ferita e martoriata: e chi in quell’occasione semplificò il tutto parlando di tifo deviato e calciatori in balia delle frange estreme delle curve, beh, o non conosceva la situazione piacentina o aveva bisogno di attirare facili consensi.
Sui social, un volto noto del panorama culturale piacentino ha pubblicato un post in cui definisce “indegno” chiunque porga le condoglianze per la morte di Davide Reboli: perché “era violento, un uomo dal passato vergognoso”, scrive l’intellettuale. E per giustificare questa affermazione ha ripreso un vecchio post su Facebook del capo-ultras che recitava: “Non riesco a dormire, mi vien voglia di sfracassare qualcuno, chi si offre volontario?”. Il problema non è la mancanza di rispetto di questa persona per la morte di Davide (a lui stesso non sarebbe fregato assolutamente nulla). Il punto è che non si può parlare di Davide senza averlo conosciuto almeno un po’: nel 90% dei casi avrà scritto quella frase con intento ironico. O forse no, ma nessuno ricorda quella frase, a chi fosse rivolta, da cosa nasceva…nulla di nulla. Violento, violento, violento: a qualcuno basta usare questa parola per sentirsi inattaccabile pensando di aver tracciato un ritratto esauriente. Una volta, in curva, litigai con un altro ragazzo per futili motivi, e stavamo quasi per venire alle mani. Intervenne Davide e dopo cinque minuti io e il mio “rivale” eravamo al bar a offrirci birra. Questo era Davide, questa era la sua curva.
Federico Gazzola
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