Stiamo vivendo giorni e settimane molto difficili. Si è scomodata la parola “guerra”, un termine forse improprio ma che evoca una cesura drammatica che coinvolge l’intera società e cambia radicalmente e rapidamente tutto. Ci saranno altre occasioni per ragionare della portata generale di quanto sta accadendo, ma è piuttosto evidente che la nostra generazione, in questo tempo, vive qualcosa che segnerà una discontinuità profonda tra un prima e un dopo. Ho letto alcune riflessioni interessanti sulla necessità di cominciare a pensare con “audacia” al tempo e alle cose che dovremo costruire, mentre pratichiamo la “prudenza” e la “pazienza” del resistere; non sono pensieri oziosi e avvertiamo già il bisogno di dare una progettualità collettiva a quello che ci aspetta.
Ma oggi, in questo momento e in questa comunicazione, vorrei concentrarmi sull’agenda corrente, perché nell’immediato è di questo che sento che dobbiamo ancora rispondere.
Mai avremmo pensato di dover fronteggiare una simile pandemia, estesa ormai su scala mondiale. Come ho avuto già modo di dire, non possiamo nemmeno permetterci di piangere, avendo noi la responsabilità di dover gestire un’emergenza, dando anche responsabili ma indispensabili segnali di speranza.
Avevo immaginato e avrei voluto, come tutti voi, una seduta dell’Assemblea molto diversa. Ma pur in questa situazione di sostanziale isolamento fisico abbiamo attivato meccanismi di condivisione e confronto e oggi siamo qui per esercitare il nostro ruolo istituzionale. Non possiamo permetterci che la democrazia si fermi.
Prima di relazionare su ciò che stiamo facendo per arginare la diffusione del Covid-19 fatemi rivolgere un pensiero a chi sta soffrendo in un letto d’ospedale, o nella propria abitazione; a chi vorrebbe anche solo rivolgere una parola o uno sguardo a un proprio familiare o amico malato e invece deve stare lontano. E un pensiero particolare lo rivolgo ai tanti che non ci sono più, ai loro familiari che magari non hanno potuto né assisterli né salutarli per l’ultima volta.
Due giorni dopo il primo caso positivo in Italia, la nostra ordinanza di chiusura delle scuole
Il primo caso di contagio in Italia si registra nel lodigiano nella notte tra il 20 e il 21 febbraio.
Il 21 emergono i due focolai che conosciamo: a Codogno, in Lombardia, area confinante con la provincia di Piacenza e per cui il nostro capoluogo di provincia è pressoché il primo luogo di riferimento; e Vo’ Euganeo nel padovano. Le nostre strutture sanitarie si sono attivate immediatamente, riconoscendo subito la contiguità territoriale col piacentino e i contatti tra le persone.
Appare da subito chiaro come, pur non avendo focolai autoctoni, siamo pienamente coinvolti. Per cui già domenica 23 febbraio è scattata la prima riunione di crisi: la nuova Giunta non è ancora insediata e si lavora a scavalco tra “nuovo” e “vecchio” esecutivo; nel pomeriggio si svolgono le riunioni coi sindaci dei Comuni capoluogo e coi presidenti di Provincia, oltre che con i prefetti. E’ costantemente attivato il canale di comunicazione con la Protezione civile nazionale e il coordinamento con il ministero della Salute; immediatamente ci siamo allineati tra Regioni, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto.
Alla sera stessa ho firmato la prima ordinanza, di concerto con il ministro Speranza, per sospendere per una settimana le scuole in tutta l’Emilia-Romagna.
Coinvolgimento dei territori e di tutte le forze politiche
Insieme alla mia Giunta, ci siamo mossi quindi per tempo, dando pieno ascolto alla comunità scientifica e superando le titubanze e resistenze di parti significative del mondo politico, istituzionale e sociale, che in un primo momento hanno oggettivamente sottovalutato il contagio e resistito all’assunzione di misure di contenimento.
Nell’ultima tornata di incontri che ci ha visto presenti di persona, fatta nella giornata del 28 febbraio
– giorno, peraltro, nel quale si insediarono l’Assemblea legislativa e la Giunta regionale – ho incontrato d’urgenza i capigruppo e nuovamente sindaci e presidenti di Provincia. In quella sede discutemmo ancora con i territori e gli interlocutori istituzionali e sociali della chiusura delle scuole e chiarimmo che il peggio non era certo alle nostre spalle, né che ci si poteva attestare su una soglia di allerta più bassa. Ribadimmo dunque la strada del rigore.
Proprio tra il 28 e il 29, dopo essermi personalmente confrontato col ministro della Salute, col suo consulente sulla gestione dell’emergenza (il professor Ricciardi) e con il direttore dell’Istituto superiore di Sanità e del Comitato tecnico-scientifico nazionale (il professor Brusaferro), decidemmo non solo di prorogare la chiusura delle scuole, ma di avviare un’ulteriore serie di strette economiche e sociali, trovando l’accordo con Veneto e Lombardia da un lato, col Governo dall’altro, che in meno di un mese ci hanno poi portato qui.
In questo mese ho ritenuto corretto interpretare il mio ruolo agendo lungo tre direttrici, perdonerete la schematicità:
1) L’ascolto della comunità scientifica: in democrazia decide la politica, che giustamente porta la responsabilità degli atti che assume; ma la politica saggia, in questi casi, si muove in piena coerenza con le indicazioni della scienza, non rincorrendo umori o interessi particolari. Svolge la funzione di mediazione che le è propria, perché non è sufficiente “ordinare” e “decretare” come qualcuno pensa: bisogna ascoltare e capire, spiegare e comporre se si vuole portarsi dietro le persone. I comportamenti individuali e collettivi non li cambi con gli ordini, ma anzitutto convincendo le persone. Anche le ordinanze e i decreti necessitano di un grado di comprensione, condivisione, accettazione sociale. E poi bisogna agire: in emergenza occorre farlo con tempestività e determinazione perché il tempo non è una variabile indipendente.
2) Il raccordo con il Governo e tra le istituzioni: il principio di leale collaborazione che vale in tempo di pace diventa un imperativo in tempo di guerra. In questi oltre 30 giorni ho cercato di costruire il massimo di consenso tra Governo e Regioni, almeno per la parte che mi competeva. Altrettanto ho fatto sul territorio con i sindaci e i presidenti di Provincia, naturalmente con le Prefetture. Ho difeso le prerogative delle Regioni. A differenza di altri osservatori distratti e commentatori da salotto, non concedo nulla alla logica per cui l’emergenza dimostrerebbe che bisogna superare la gestione regionale della sanità nel nostro Paese. Se stiamo reggendo è grazie al sistema sanitario regionale dell’Emilia-Romagna che abbiamo costruito in questi 40 anni. Sono viceversa determinato a fare tutto il possibile perché il Paese sia unito e coeso, coerente nelle scelte e nel modo di affrontare un problema che è comune, non regionale. La questione non sono le Regioni o il Governo, dunque: il problema è essere all’altezza del compito che spetta a ciascuno. E la soluzione a questo non arriva da alcuna alchimia costituzionale ma dalla qualità delle relazioni e della classe dirigente. Vale anche per il rapporto tra le forze politiche di maggioranza e minoranza, dal più piccolo dei Comuni al Parlamento: in emergenza, l’unità è un bene in sé; non appanna la distinzione dei ruoli né le responsabilità che si portano, ma ti impone di mettere al primo posto il bene comune rispetto a quello di parte. Come avete visto, ci siamo riuniti con i capigruppo fin dai primi giorni dell’emergenza. Adesso ci siamo dati una sede di confronto stabile con cui proviamo a garantire a tutti di avere tempestivamente le informazioni, avanzare problemi, ricevere risposte. La Conferenza dei capigruppo si riunisce ogni tre giorni, presente la Giunta che risponde: credo non accada da nessun’altra parte, quantomeno con questa cadenza e continuità. Lo dico a merito di tutti noi, maggioranza e minoranza, Giunta e Assemblea legislativa. E oggi siamo qui per parlarci e confrontarci per il bene dei nostri concittadini, sperimentando quella che non è una semplice videoconferenza ma la pratica reale della democrazia.
3) La salute delle persone al primo posto: non sottovaluto affatto la portata dei provvedimenti presi, l’impatto che hanno sulle persone, sulle libertà individuali e i comportamenti collettivi, sulla socialità, naturalmente anche sul lavoro e l’economia, su cui più avanti tornerò. Ma davanti ad una pandemia, ad un’emergenza sanitaria di queste proporzioni, la tutela della salute individuale e della salute pubblica deve stare davanti a tutto. Ogni giorno contiamo centinaia o migliaia di morti, molte decine solo in Emilia-Romagna; ogni giorno i nostri ospedali si riempiono di persone che rischiano la vita; ogni giorno un numero ieri inimmaginabile di pazienti va in terapia intensiva. Parliamoci chiaramente: non arrestare il contagio vorrebbe dire avvicinarci al rischio concreto del collasso del sistema sanitario, e questo dovrebbe far riflettere gli irresponsabili che ancora oggi violano regole e restrizioni. Abbiamo approntato un piano straordinario di riconversione delle strutture e delle attività sanitarie, di ampliamento dei posti letto per acuti e di terapia intensiva, di occupazione progressiva degli spazi e di utilizzo del personale della sanità privata (ne parlerò); ma, lo ripeto, non c’è adattamento possibile e sostenibile se non si arresta il contagio. Il sistema lombardo è saturo ed
è il più grande del Paese; il nostro potrebbe arrivarci, ed è uno dei più grandi e forse, in proporzione, il più robusto, potendo contare su una forte colonna vertebrale pubblica; immaginate cosa sarebbe accaduto se il contagio fosse partito da aree del Paese dove il sistema sanitario è molto più piccolo, dove c’è pochissima terapia intensiva, dove la sanità pubblica è diversa per dimensioni e prestazioni.
L’emergenza è sanitaria e il resto deve piegarsi ad essa. Quanto? Esattamente quanto è necessario, non un grado di meno. La compressione della socialità e dell’economia devono essere commisurate all’obiettivo se vogliamo che ci sia un dopo in cui riattivare socialità ed economia. In un mese il numero dei positivi censiti in Italia è arrivato a 80.539, in Emilia-Romagna 10.816; i decessi sono saliti a 8.215, 1.174 nella nostra regione. E la coda, anche quando avremo raggiunto il picco che ancora non abbiamo visto, non sarà certo breve.
Non entro nel merito delle singole misure di contenimento via via adottate, rimarcando solo come la prima forte cesura – dopo la sospensione delle scuole che ho richiamato del 23 febbraio – si è determinata con il Decreto del Presidente del Consiglio dell’8 marzo (poi estesa a tutto il Paese con il Dpcm del 9 marzo) laddove si è fortemente limitata la possibilità di spostamento delle persone se non per lavoro, salute, necessità comprovate o per tornare alla propria abitazione; si è poi estesa la sospensione dell’attività scolastica, si è ridotta l’attività commerciale, e altre analoghe misure restrittive. La seconda, altrettanto forte, è invece quella operata dal Dpcm del 22 marzo, con cui si è arrivati a comprimere anche le attività produttive per aumentare il distanziamento sociale (in questo caso tra i lavoratori) e ridurre drasticamente la mobilità delle persone per ragioni di lavoro.
Voglio rimarcare come ogni passaggio rilevante sul piano nazionale è stato anticipato da misure assunte dalla nostra Regione, da sola o con le altre confinanti: mi pare di poter dire che così facendo abbiamo contribuito a far fare un passo avanti all’intero Paese, sperimentando e talvolta spianando la strada a provvedimenti generali. Sempre, tengo a rimarcarlo, in una logica cooperativa e mai di differenziazione: tutti i nostri provvedimenti, fino ad oggi, si sono infatti rivelati coerenti con quelli poi assunti dal Governo, che si trattasse di parchi o sport, di commercio o di somministrazione di alimenti. Abbiamo anzi svolto una funzione di cerniera, evitando per quanto di nostra competenza strappi o forzature: questo come Regione Emilia-Romagna ma anche per la funzione che svolgo quale presidente della Conferenza delle Regioni.
Nondimeno, ho provato a tenere in costante raccordo le province e i comuni, moltiplicando le occasioni di confronto collettive e individuali. La stessa Unità di crisi che ho composto un minuto dopo l’insediamento della Giunta, che si riunisce quotidianamente come cabina di regia istituzionale per tutte le decisioni del nostro sistema territoriale, vede al proprio interno anche un rappresentante dell’Anci e uno dell’Upi, oltre che uno per le prefetture. Colgo l’occasione per ringraziare i nostri sindaci, senza distinzione territoriale e politica: stanno svolgendo un lavoro molto importante di assistenza alla popolazione e, pur nelle difficilissime condizioni date, fanno funzionare le comunità locali e i servizi.
Tra queste misure, dicevo, l’ultima in ordine di tempo e la più stringente è quella che abbiamo assunto per Rimini e Piacenza: a me pare imprescindibile che laddove ci siano evidenze epidemiologiche più significative si determinino limitazioni più forti. Sono decisioni che, anche in questo caso, abbiamo assunto in pieno raccordo con gli amministratori locali e le prefetture, attraverso un confronto quotidiano e molto stringente. Così come so bene che abbiamo imposto una severa chiusura alla comunità di Medicina: è forse l’atto che mi è costato di più assumere in questi 5 anni, anche per il modo, quasi nel cuore della notte, per ovvie ragioni che comprendete. Ma era giusto farlo, stando alle indicazioni dei medici e vista la contiguità all’area più popolosa dell’intera regione: la Città metropolitana di Bologna, un milione di abitanti. Oggi, proprio in quella comunità, avviamo una sperimentazione farmacologica che puntiamo a estendere al resto dell’Emilia-Romagna, curando a casa le persone positive per provare a evitare che peggiorino e magari arrivino in ospedale in condizioni talvolta irrecuperabili. Ci è parso giusto e significativo iniziare da lì, dove il peso delle restrizioni è stato più forte, per dare anche un messaggio positivo. Non ci siamo dimenticati di quei cittadini, anzi.
Il commissario ad acta che ho nominato per la gestione dell’emergenza, Sergio Venturi – che ringrazio per aver accettato questo gravoso compito, che sta portando avanti con l’assessore Donini – ha definito questa misura, insieme alle iniziative avviate per andare a casa dei malati col personale sanitario, o il piano straordinario dei tamponi che dopo vi illustrerò, la nostra controffensiva al coronavirus. Ed è proprio così: dopo una fase difensiva, inevitabilmente difensiva, è giusto dispiegare tutti gli strumenti possibili per contrastare l’epidemia e per migliorare ulteriormente la cura e la presa in carico delle persone, anche di quelle tante che pur contagiate sono al proprio domicilio. E’ il segno che, pur nel pieno dell’emergenza, sta cambiando la fase e con essa la nostra strategia: proviamo a combattere la pandemia casa per casa.
Ma prima, bisogna ribadirlo, siamo partiti e dobbiamo proseguire con le misure di contenimento, che in attesa di un vaccino restano le più importanti ed efficaci. E siamo passati alla trasformazione della nostra rete sanitaria, peraltro tutt’ora in corso. In sole due settimane, per dire, siamo passati da 1.290 posti letto per Covid-19 a 4.630; di questi i posti letto di terapia intensiva attivati saranno 514 solo per la parte pubblica.
Grazie poi ad un accordo sottoscritto con la sanità privata, abbiamo un ulteriore potenziale di trasformazione di migliaia di posti letto in generale e di quasi un centinaio per la terapia intensiva. E’ un lavoro che è già partito e si sta sviluppando proprio in questi giorni.
Tanto per la sanità pubblica quanto per quella privata si è trattato di una rivoluzione, che ha trasformato l’organizzazione e la fisionomia stessa dei servizi, le mansioni degli operatori, la logistica e gli spazi. L’ho fatto molte volte ma voglio ripeterlo qui: i nostri operatori, tutti, hanno fatto e stanno facendo un lavoro straordinario, che rende onore a loro come persone e come professionisti, a tutti noi come cittadini e come Emilia-Romagna. E’ un lavoro riconosciuto e per molti cittadini riscoperto, le testimonianze di affetto e di gratitudine sono innumerevoli. E anche le donazioni che abbiamo attivato, come aziende sanitarie, e come Regione attraverso il conto corrente della Protezione civile, ne sono la dimostrazione: a ieri, sul solo conto corrente regionale abbiamo raccolto oltre 2 milioni e 154 mila euro, ma molte ulteriori donazioni si stanno perfezionando in questi giorni e altre importantissime sappiamo che arriveranno nei prossimi giorni. La raccolta del sistema ha già superato complessivamente i 20 milioni di euro. Permettetemi anche qui di ringraziare i testimonial, le donne e gli uomini dello spettacolo, della cultura, del giornalismo e dello sport che si sono messi in prima linea come testimonial nella campagna “Insieme si può” per la nostra sanità, per l’Emilia-Romagna, per lanciare un messaggio di responsabilità a tutti i cittadini. E hanno risposto in tanti: singole persone, famiglie, imprese, enti, società, associazioni, fondazioni bancarie, istituti bancari.
Rendiconteremo l’impiego diretto contro il Covid-19 fino all’ultimo centesimo perché questo capitale di riconoscenza e fiducia merita di essere ricompensato con il massimo di trasparenza, rigore ed efficacia.
Gli operatori sanitari delle nostre aziende, dicevo; ma voglio ringraziare anche farmacisti, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, tutte le professioni medico-sanitarie e i rispettivi ordini, i volontari e gli operatori della nostra Protezione civile, il volontariato sanitario e sociale che ci sta affiancando con generosità e abnegazione, le forze dell’ordine e le polizie municipali. E le lavoratrici e i lavoratori dei servizi essenziali. Tutti coloro che sono attivi nell’emergenza a sostegno della comunità.
I numeri del Paese e dell’Emilia-Romagna non sono confortanti. Ancora di meno lo sono quelli della diffusione globale. Permane la preoccupazione che molti Paesi abbiano abbondantemente sottovalutato l’emergenza. E che tardivamente si siano attrezzati per farvi fronte sia sotto il profilo della prevenzione, sia sotto il profilo della risposta sanitaria. Anche le statistiche non appaiono convincenti, se posso dirlo: c’è modo e modo di contare e stimare i contagi, c’è modo e modo anche per catalogare i casi di decesso. Ha fatto molto bene l’Istituto superiore di sanità a chiedere un riscontro quotidiano dei referti, per dotarsi di una banca dati omogenea su cui poter fare valutazioni, stime, analisi. La concomitanza di patologie che spessissimo si associano al coronavirus quale causa di decesso possono essere, di volta in volta, considerate concomitanze o fattori principali. Tra le garanzie di avere un forte sistema pubblico che governa questi processi c’è anche quella di darsi un metodo efficace e prudenziale. E accanto a questa, più in generale e soprattutto, la disponibilità e la forza di una grande infrastruttura pubblica, che può organizzare il servizio di prevenzione e di profilassi, di analisi e di risposta, di organizzazione del servizio. Tutte cose che, semplicemente e drammaticamente, in altri Paesi mancano. L’Italia viceversa ne è provvista e l’Emilia-Romagna ha dimostrato in questo la sua forza.
Tra le cose che questa emergenza ci insegna è che un grande sistema sanitario, pubblico e universalistico, è un bene essenziale. Tanto più in una società globale, esposta a maggiori rischi di diffusione delle malattie. Senza di quello non solo i singoli cittadini sono più deboli – poveri o ricchi che siano – e le comunità più fragili, ma come stiamo vedendo diventa più vulnerabile anche l’economia, forse la stessa democrazia.
A ieri, dicevo, in Emilia-Romagna si registrano 10.816 casi di positività al coronavirus. 42.395 i test refertati. Complessivamente, sono 4.680 le persone in isolamento a casa, poiché presentano sintomi lievi, che non richiedono cure ospedaliere o risultano prive di sintomi. Il numero dei decessi è arrivato a 1.174. Iniziano a diventare rilevanti le guarigioni, che raggiungono quota 792.
Negli ultimi quattro giorni, abbiamo registrato il seguente andamento di casi positivi: +980 lunedì 23 (3.178 test refertati), +719 martedì 24 (2.357 test), +800 mercoledì 25 (4.518 test), +762 (4.350 test). Numeri in calo, seppur contenuto, anche alla luce di un numero di test refertati invece cresciuto di molto.
Non assistiamo a un boom dei pazienti in terapia intensiva, pur in costante crescita. Non sembra essere elevato, peraltro, l’arrivo di pazienti gravi in ospedale negli ultimi giorni.
Certo è che non possiamo permetterci di allentare la presa o abbassare la guardia: è invece il momento di richiamare ancor più al rispetto delle restrizioni, a cominciare dal dover restare a casa. Ognuno deve davvero fare la sua parte, se vogliamo sperare di consolidare i segnali di tendenziale rallentamento che si intravedono.
Il Governo ha già adottato due primi provvedimenti per far fronte, sul piano economico e sociale, all’emergenza determinata dal contagio: con il primo, il Decreto legge 9/2020, ha dato le prime risposte essenzialmente ai territori ricompresi nelle zone rosse del basso lodigiano e di Vo’ Euganeo, oltre che alle prime necessità per attivare la cassa integrazione in deroga nelle regioni più colpite e per il settore turistico. Il Decreto 18/2020, cosiddetto ‘Cura Italia’, contiene invece un pacchetto di misure più corposo per l’intero Paese, a partire dal sostegno al sistema sanitario nazionale, al sostegno dei lavoratori e del loro reddito, per l’accesso al credito di famiglie e imprese, nonché la sospensione di obblighi tributari e contributivi. Su questo decreto è peraltro in corso un confronto tra Governo e Regioni per apportare alcune modifiche. Come noto, poi, è in dirittura d’arrivo un ulteriore provvedimento, ancor più significativo, per il sostegno di imprese e famiglie, pronto per l’inizio di aprile, che porterebbe lo stanziamento complessivo a oltre 50 milioni di euro. E’ intanto un fatto positivo che si sia arrivati alla sospensione del Patto di stabilità europeo, come avevamo chiesto fin dal primo momento: questo permette di allargare la spesa in deficit per far fronte all’emergenza. Ma è altrettanto imprescindibile che, a fronte di una politica monetaria espansiva, arrivi immediatamente una scelta forte da parte delle istituzioni comunitarie per una politica fiscale espansiva. La sostanziale fumata nera di ieri è un pessimo segnale: se qualcuno pensa ancora oggi di poter affrontare questa emergenza e le conseguenze economiche e sociali che ne deriveranno con le ricette dell’austerità significa che si è capito poco e non si è imparato nulla. Un’Europa così non serve a nessuno. A noi serve un’Europa che ora promuova solidarietà, investimenti diretti, coesione. E’ essenziale che ogni governo abbandoni gli egoismi domestici perché una pandemia non conosce confini né geografici né politici. Davvero ne usciremo tutti insieme o non ne uscirà nessuno.
Come Regione Emilia-Romagna, pur tra le mille difficoltà dettate dalla priorità dell’emergenza sanitaria, che ha colpito anche il personale del nostro ente, e la necessità di una rapida e radicale trasformazione delle modalità di lavoro – con ampio ricorso allo smart working, su cui già eravamo tra gli enti più avanzati in assoluto – ci siamo mossi con i seguenti provvedimenti:
1) attivazione immediata degli ammortizzatori in deroga – Siamo la prima Regione ad aver siglato un accordo con le parti sociali all’interno del Patto per il Lavoro, rendendo subito disponibili 25 milioni di euro per 4 settimane di cassa integrazione in deroga; il riparto del nuovo decreto ci assegna ulteriori 110 milioni per ulteriori 9 settimane, e anche in questo caso abbiamo già siglato l’accordo. Con la cassa in deroga si può rispondere ad ogni genere di impresa e di datore di lavoro che abbia anche un solo dipendente, garantendo la continuità di reddito a lavoratrici e lavoratori;
2) sostegno alle imprese nell’accesso al credito – Con un accordo con Abi e Consorzi fidi, abbattendo a zero i tassi di interesse e gli oneri di attivazione delle contro-garanzie, abbiamo destinato 10 milioni di euro di risorse fresche, prese dall’avanzo di bilancio, che garantiranno fino a 150mila euro ad azienda per 36 mesi a tasso zero. Un’operazione e una iniezione di liquidità in grado di attivare investimenti fino a 100 milioni, non appena sarà possibile ripartire;
3) Welfare – Un pacchetto cospicuo di risorse anticipate ai Comuni per la spesa educativa e sociale, in particolare accelerando i trasferimenti per i nidi e i servizi educativi (circa 18 milioni);
4) sostegno alle famiglie – Risorse aggiuntive (circa 5 milioni) per azzerare le rette delle famiglie, in un accordo che stiamo definendo con i soggetti gestori, le organizzazioni sindacali e i Comuni che salvaguardi l’integrità delle imprese, i diritti dei lavoratori e la continuità del reddito. Con la possibilità di assicurare la sostenibilità economica dei bilanci comunali. L’obiettivo è anche quello di garantire servizi individuali per i soggetti più fragili e le loro famiglie. A partire da diversamente abili e non autosufficienti;
5) Persone fragili – Erogazione anticipata ai Comuni delle risorse del Fondo nazionale povertà (1,7 milioni), per far fronte alle situazioni di disagio estremo, a partire dalle persone senza fissa dimora proprio in questa fase di emergenza;
6) Proroghe e sospensione pagamenti – Abbiamo rinviato alla fine di giugno il pagamento del bollo auto previsto a marzo e aprile, prorogato scadenze dei bandi regionali e anticipato la liquidazione di contributi ovunque possibile, dalla cultura allo sport, dall’agricoltura alla ricostruzione post sisma.
Credo però che il nostro ruolo, quello del pubblico in generale, dal Governo agli Enti locali, dovrà presto essere quello di investitore: nel momento in cui la domanda interna crolla e i mercati internazionali si chiudono, la principale leva da attivare è proprio quella degli investimenti. Sanità, messa in sicurezza del territorio, digitalizzazione, mobilità sostenibile: a me paiono queste le leve da attivare con forza per sostenere, nell’uscita dall’epidemia, la ripresa della nostra economia e il lavoro delle persone. Credo che il decreto di aprile dovrà contenere prime risposte in questa direzione e, come Emilia-Romagna, siamo pronti non solo a riorientare in questa direzione la nostra programmazione e le nostre risorse, ma anche la nuova programmazione dei fondi comunitari 2021-2027.
In questa anomala e difficile fase di sospensione della scuola, abbiamo anche provato ad avvicinare studenti e insegnanti, facilitando le scuole nella transizione verso il digitale. La connessione dei nostri istituti con banda ultralarga, la più avanzata e diffusa nel Paese, concorre senz’altro al risultato di vederci oggi come la regione che più ha attivato “classi virtuali”. Grazie poi ad un accordo con Google e Cisco, due giganti dell’informatica, oltre che naturalmente con l’Ufficio Scolastico Regionale e Lepida, vengono messi a disposizione gratuitamente strumenti attraverso i quali inviare video, power point o testi scritti, trovare i compiti assegnati e le correzioni. E gli insegnanti possono riunirsi in “stanze” virtuali e anche incontrare, sempre on line, i genitori. C’è un cambiamento che vogliamo sostenere, che rende però più urgente e acuto il tema della connessione di tutte le scuole ma anche delle famiglie, per non allargare le distanze sociali e territoriali, a partire dai ragazzi che hanno più difficoltà in partenza.
Nello stesso modo, sempre attraverso Lepida, abbiamo provato ad accrescere l’offerta culturale virtuale.
A chi vede nella rivoluzione digitale in corso una minaccia, ricordo che senza queste tecnologie oggi non saremmo più una comunità e le persone sarebbero abbandonate a loro stesse. La tecnologia sta salvando ogni giorno vite umane, permette ai nostri figli di apprendere, alle nostre aziende e ai nostri uffici di non chiudere, alle persone di parlarsi, alla cultura di esistere. La seconda lezione da apprendere è che dobbiamo accelerare in questo cambiamento, rendendolo casomai davvero democratico e assicurando a tutti il diritto all’accesso.
Ad oltre un mese di distanza dall’avvio dell’emergenza reale nel nostro Paese, registriamo ancora molte difficoltà, a partire dall’approvvigionamento di mascherine e dispositivi individuali di protezione, di strumentazioni per il funzionamento delle terapie intensive e degli stessi reagenti per i tamponi. Fin dal primo momento, questa attività è stata presa in carico dal Dipartimento nazionale della Protezione civile, a cui è poi stato affiancato nello specifico il commissario Arcuri. Le consegne si sono rivelate nel tempo complessivamente insufficienti e in ogni caso incostanti e incerte, con comunicazioni e trasferimenti fatti giorno per giorno. Vi sono miglioramenti, che però vanno consolidati, per arrivare a una situazione di forniture costanti e regolari. Lo considero davvero il minimo sindacale ad oltre un mese di distanza!
E’ noto che il problema è determinato dalla chiusura delle frontiere, dall’assenza di aziende nazionali operanti su questi prodotti, spesso perchè a basso valore aggiunto, infine dall’aumento esponenziale della domanda legato alla crescita globale del contagio.
Abbiamo avuto molti problemi ad assicurare strumenti di protezione adeguati agli stessi operatori sanitari, per non parlare del personale impegnato nella gestione dei servizi socio-assistenziali, laddove si concentrano proprio gli utenti più fragili e vulnerabili.
Ancora in queste ore stiamo seguendo passo passo la raccolta da parte della nostra Protezione civile e la distribuzione da parte della sanità. Alla luce dei numeri attuali, per assicurare dispositivi adeguati a tutti (compresi i medici di famiglia, i pediatri di libera scelta, il volontariato sanitario, ecc.) avremmo necessità di circa 350 mila mascherine chirurgiche al giorno e di oltre 100 mila FFP2 e 3.
Voglio però dire che non siamo rimasti fermi, come Emilia-Romagna, in attesa di soluzioni da Roma. Abbiamo avviato, in modo sempre più strutturato, rapporti con le aziende del territorio che intendono riconvertire le proprie produzioni. Abbiamo finalmente codificato un percorso di accesso, certificazione dei materiali e dei prodotti, validazione dell’ISS che si traducono oggi in un vero e proprio vademecum, definito di concerto tra sanità, Protezione civile, Direzione Economia e attività produttive della Regione e Arter, Università e Confindustria per intercettare tutte le disponibilità e orientarle in modo chiaro ed efficace, grazie anche al supporto tecnico del Tecnopolo di Mirandola e l’Università di Bologna. Stiamo quindi sostenendo e organizzando l’offerta, con primi risultati importanti: come annunciato tre giorni fa, un’azienda di Reggio Emilia che ha fatto da apripista porta proprio nella giornata di oggi a 100 mila pezzi la produzione di mascherine e tra pochi giorni ce ne assicurerà circa 120 mila al giorno.
Al tempo stesso, sempre attraverso i nostri servizi e le nostre relazioni internazionali più consolidate, abbiamo attivato canali e contatti per facilitare l’importazione – è il pezzo più difficile – anche attraverso un general contractor. Come Regione ne abbiamo acquisiti direttamente ingenti quantitativi, fermi però in scali aeroportuali stranieri, da dove non si parte per l’Italia. Carichi che ci stiamo adoperando per sbloccare.
Non meno rilevante il tema dei tamponi: qui ci siamo scontrati dapprima con la necessità di potenziare il numero dei test, poi con la capacità dei laboratori di refertarli in tempi utili. Ora c’è il problema dei reagenti.
Alcuni passi avanti importanti sono stati fatti: come avevamo indicato una settimana fa, il nostro obiettivo era passare a circa 5 mila tamponi al giorno, al fine di poter meglio monitorare il contagio anche dopo le misure restrittive introdotte. Non siamo ancora all’obiettivo, ma quasi, visti i circa 4.500 test effettuati in entrambi gli ultimi due giorni. Abbiamo anche attivato altri laboratori di analisi.
Ci siamo dati l’obiettivo di estendere il monitoraggio sulle categorie a rischio, a partire dagli operatori sanitari e sociosanitari. Grazie alle analisi appena concluse a Reggio Emilia, a questa prima attività di test possiamo affiancare fin dai prossimi giorni quella dei test sierologici, in modo complementare e più diffuso. Il combinato disposto di queste tre leve (maggiori Dpi, tamponi sui sintomatici e test sierologici sugli asintomatici) dovrebbe permetterci di fare grandi passi avanti nella messa in sicurezza dei nostri operatori, delle strutture e dei loro pazienti e ospiti, delle rispettive famiglie. E’ un atro passo avanti che adesso facciamo.
Un’altra voce essenziale è evidentemente quella del personale. Le disposizioni normative e finanziarie del Governo ci hanno permesso di potenziare il nostro organico con una certa rapidità, pur scontando una difficoltà strutturale a reperire medici e infermieri. Ciò detto, le assunzioni per affrontare il Covid-19 ad oggi sono state oltre 1.500, tra cui quasi 300 medici, 900 infermieri, oltre 300 operatori socio-sanitari e quasi 100 tecnici. Grazie alla “call” regionale che abbiamo fatto questa settimana per Parma e Piacenza stiamo assumendo altri professionisti, con circa 60 disponibilità vera medici e infermieri. Ieri sera altri 7 medici sono arrivati su Piacenza grazie alla “call” nazionale e ci candidiamo anche per quella analoga riservata agli infermieri. Infine, si stanno laureando molti infermieri in proprio questi giorni, grazie allo sforzo di anticipazione che hanno compiuto gli Atenei dell’Emilia-Romagna; e siamo impegnati attraverso le aziende a portarli subito in attività presso le nostre strutture. Lo stesso accordo con la sanità privata, oltre alle strutture, prevede l’impiego dei professionisti.
Stiamo facendo il massimo, tutto ciò che riteniamo possibile, seguendo le indicazioni della comunità scientifica, alle prese essa stessa con un virus prima sconosciuto.
Non c’è spazio per la strumentalizzazione politica, il Paese è chiamato a unirsi per uscire, insieme, da una stagione davvero fra le più buie.
Forse la nostra vita sta cambiando e forse nemmeno ce ne rendiamo conto fino in fondo. Coltivare l’illusione che tutto tornerà come prima può aiutare.
Certo torneremo a dividerci, ognuno a portare avanti le proprie idee. Ma prima pensiamo a come tornare a stringerci la mano se ci incrociamo, invece di dover sfuggire l’un l’altro lasciando almeno un metro fra di noi.
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Scuola Genitori di Piacenza appuntamento per venerdì 22 Novembre 2024 alle ore 17.30 presso il Liceo…