Clima, incontro alla Cattolica: “Se l’Europa corre troppo rischia di far perdere competitività alle sue aziende”

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È un primo bilancio dell’Accordo di Parigi sul clima, ma è soprattutto un dialogo diretto e immediato con gli studenti dell’Università Cattolica, quello tra i giovani, protagonisti del futuro del Pianeta, e Gian Luca Galletti, già ministro dell’Ambiente, firmatario dello stesso Accordo che mira a limitare il riscaldamento globale al di sotto di 2°C e a proseguire gli sforzi per circoscriverlo a 1,5°C per evitare le conseguenze catastrofiche del cambiamento climatico.

Nel 2015 i leader mondiali hanno concordato obiettivi molto ambiziosi nella lotta contro i cambiamenti climatici. Per l’Italia il trattato internazionale fu firmato proprio dall’allora ministro Galletti che, nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile nel campus di Piacenza, ospite della lezione conclusiva dei Percorsi sulla sostenibilità dal titolo “L’Accordo di Parigi sul clima: un primo bilancio e le prospettive future”, ricorda che «in quella sala c’erano tutti i Paesi del mondo. C’era Obama vicino a Putin. C’era il Presidente israeliano di fronte a quello iraniano. Non credo che in questo momento sarebbe replicabile un’esperienza come quella».

Un accordo non a porte girevoli

Galletti spiega che l’Accordo di Parigi «non è a porte girevoli», ed è importante che gli Stati, soprattutto le superpotenze, onorino l’«impegno fondamentale», ancorché non vincolante, che hanno assunto. «Nel contesto odierno non sono ottimista» prosegue l’ex ministro dell’Ambiente, oggi consigliere nazionale dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili con delega allo sviluppo sostenibile e presidente di Emilbanca, ricordando che «l’Europa più di tutti ha preso sul serio quell’Accordo», un trattato che «cambia l’Europa, perché cambia la società, il ruolo dell’economia e il ruolo dell’impresa». E lo sta già facendo.

«Quando frequentavo l’Università, 40 anni fa, mi insegnavano che l’impresa doveva produrre valore. Ce lo dobbiamo scordare. Oggi l’impresa va misurata anche per l’impatto sociale sul contesto in cui opera». Così l’impresa diventa «un bene sociale», che «concorre ai bisogni del territorio».

Il concetto di “ecologia integrale”

Non è mecenatismo ma «sussidiarietà vera», chiosa Galletti, che spiega agli studenti presenti nella Sala Giuseppe Piana del campus piacentino come «è cambiato il mondo» nell’ultimo decennio. «Nel 2014 venni nominato ministro dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare, e da alcuni il mio era considerato un Ministero di “Serie B”. In quattro anni sono successe cose importanti, a partire dall’Enciclica di Papa Francesco, Laudato Si’, che ha lanciato due temi fondamentali per Agenda 2030 e per l’Accordo di Parigi».

Galletti fa riferimento al «concetto di ecologia integrale», che «rimette al centro la persona», e poi al tema del «debito ambientale». «Credo fermamente in questo progetto ma, attenzione, non è gratis» commenta Galletti. «Ha un costo per le aziende. L’Europa sta correndo; se corre troppo, rischia di far perdere competitività alle sue aziende. Il concetto di sviluppo sostenibile è molto diverso da quello di decrescita felice».

Tra le tante domande dei giovani, l’ultima risposta dell’ex Ministro dell’Ambiente è un suggerimento che risuona di speranza. «Tenete sempre conto del valore di quello che fate» dice agli studenti della laurea triennale in Management per la sostenibilità e della laurea magistrale in Gestione d’azienda, al tavolo con Anna Maria Fellegara, preside della Facoltà di Economia e Giurisprudenza, Francesco Timpano, coordinatore del profilo Sostenibilità della laurea magistrale in Gestione d’azienda e direttore del Centro studi di Politica economica e monetaria “Mario Arcelli”, Riccardo Torelli, docente di Corporate sustainability, responsibility and ethics e Monica Veneziani, coordinatrice del corso di Management per la Sostenibilità. E conclude: «La vostra è una generazione attenta alla solidarietà e al rispetto dell’ambiente, sono sicuro che farete molto meglio di quello che abbiamo fatto noi».

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