“Sono stati valicati limiti che difficilmente consentiranno di retrocedere alle libertà per le quali, chi ci ha preceduto, si è battuto, anche a costo della propria vita. La certificazione sanitaria, come è andata strutturandosi nel tempo e come è attualmente concepita, non ha proprio nulla a che vedere con ragioni di tutela della salute pubblica e sta sempre più diventando unicamente un “lasciapassare” solamente attraverso il quale è possibile esercitare diritti fondamentali”. Quaranta avvocati piacentini hanno scritto una lettera al presidente dell’Ordine degli Avvocati di Piacenza. Il tema è quanto accaduto il primo febbraio scorso davanti alla Procura piacentina: “Episodio la cui gravità riteniamo meriti attenta e ponderata valutazione da parte di chi, come l’avvocatura, riveste un ruolo sociale di salvaguardia della legalità”, scrivono i firmatari.
“In estrema sintesi, un gruppo di cittadini, in attesa di poter accedere agli Uffici della Procura per il deposito di denunce penali, è stato costretto a rinunciare all’esercizio del proprio diritto, garantito dall’art. 24 della Costituzione, vedendosi precluso l’accesso dal personale della Vigilanza”, spiegano gli avvocati firmatari.
“Più precisamente, in tarda mattinata verso le 11.00/11.30, dunque in orario di apertura al pubblico, l’accesso alla Procura da parte dei suddetti è stato illegittimamente subordinato all’esibizione di certificazione verde Covid19. Alla richiesta di spiegazioni è stato risposto dal personale di vigilanza addetto che l’ordine proveniva dalla Presidenza. In effetti, a ben vedere, la circolare a firma congiunta del Presidente del Tribunale e del Procuratore della Repubblica del 12 gennaio u.s., al punto 2), recita che “con decorrenza dal 1° febbraio e sino alla cessazione dello stato di emergenza sanitaria l’accesso agli uffici giudiziari del Tribunale e della Procura della Repubblica da parte del pubblico e dell’utenza non professionale è subordinato al possesso all’esibizione, a richiesta del personale di vigilanza, della certificazione verde Covid-19 (green pass) base”.
Parlando di green pass, i quaranta firmatari ne approfittano per ribadire la propria contrarietà all’applicazione di alcuni decreti in materia di norme anti-contagio. In particolare quel decreto che impedisce agli ultracinquantenni di esercitare il proprio mestiere se non vaccinati. In questo caso la lettera è mirata a chiedere una presa di posizione da parte dell’ordine.
LA LETTERA AL PRESIDENTE DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI
Caro Presidente,
Ti scriviamo, in quanto consideriamo essenziale rappresentare all’Ordine, per il tramite della Tua figura istituzionale, quanto di seguito.
Parliamo del D.L. n. 1 del 7 gennaio 2022 che, alzando vieppiù una già elevata asticella, da un lato, vieta, di fatto e di diritto, il lavoro a chi, ultracinquantenne, anche Avvocato, non abbia effettuato la procedura di vaccinazione, ovvero non possa dimostrare di essere guarito dal covid, fino – per ora – al 15 giugno 2022, essendo, in caso contrario, passibile di sanzione (dunque, non già per aver commesso un illecito, ma meramente in ragione di uno “status”), dall’altro, impone l’uso del tampone per la quasi totalità delle attività sociali, compreso l’accesso agli Uffici Giudiziari a varie categorie di soggetti.
Obbligo di tampone da cui i vaccinati sono, invece, esclusi, a riprova di come detto strumento sia ben lontano dal poter essere inteso come una misura di carattere sanitario; è di immediata constatazione, infatti, che, se così fosse, l’obbligo di tampone sarebbe stato imposto a tutti, anche ai soggetti (tri)vaccinati che, come ormai pacificamente accertato, possono contagiarsi e contagiare, allo stesso modo dei soggetti non vaccinati o vaccinati con sole due dosi.
Vogliamo dire, con la forza della ragione, che questo impianto non trova alcuna legittimazione nell’art. 32 Cost., norma che consente eccezionalmente l’imposizione di trattamenti sanitari con disposizione di legge (cui il decreto legge non può, a questi fini, equipararsi se non altro perché è passibile di non essere convertito in legge negli esatti suoi termini; mentre, paradossalmente, gli effetti, eventualmente negativi, dell’inoculazione su chi nel frattempo vi si fosse sottoposto sarebbero irretrattabili), ma mai comunque di trattamenti che siano lesivi del “rispetto della persona umana”.
Vietare ad un cittadino di trarre sostentamento dal proprio lavoro, così impedendogli, di fatto, di sopravvivere, è certamente contrario al rispetto della persona umana ed equivale, nei fatti, ad una sorta di morte civile: o si cede al ricatto o non si può sopravvivere.
Anche nel mondo dei servizi alla Giustizia e, più specificamente, dell’Avvocatura, le conseguenze dell’imposizione per decreto del lasciapassare sanitario (che di “verde” non ha proprio nulla; bisognerebbe rammentarsi sempre che “nomina sunt consequentia rerum”) sono rilevantissime ed attestano la palese incongruità delle misure governative.
Basti pensare che, in questo momento, per l’accesso ai Tribunali, vigono tre diversi regimi, a seconda dell’età e della qualifica di chi vi accede (come se il pericolo sanitario non fosse uguale per tutti):
- parti processuali, utenti, testimoni, soggetti che ad altro titolo (diversi dalle categorie di cui infra) debbono accedere al Tribunale, possono farlo liberamente, senza esibire alcunché;
- Magistrati, Pubblici Ministeri, dipendenti, periti, avvocati, ausiliari del giudice sotto i cinquant’anni possono farlo solo previa esibizione di un c.d. “green pass base” (da tampone);
- gli stessi soggetti di cui sopra, se ultracinquantenni, possono farlo solo se vaccinati o guariti (muniti di “green pass rafforzato”).
Per quanto sopra, risulta innegabile come siffatte misure perseguano solo a parole la tutela del diritto alla salute. “Non è chi non veda” l’esorbitanza di siffatte misure rispetto all’affermata tutela del diritto alla salute, posta, a parole, alla base della loro adozione.
Infatti, delle due, l’una: o il Tribunale è luogo pericoloso per la salute – e allora non si comprende perché non debbano vigere regole uguali per tutti – oppure non lo è – ed allora è più che sufficiente (come fatto fino ad oggi) mantenere il distanziamento, indossare la mascherina, evitare assembramenti e utilizzare il gel igienizzante.
Non solo: vi è un vulnus ulteriore, particolarmente inaccettabile, che intendiamo segnalare: sembrerebbe che non siamo neanche autorizzati, senza esibire il lasciapassare, base o rafforzato che sia, a varcare i tornelli del Palazzo di Giustizia per accedere all’Ordine, che è la casa di tutti gli avvocati, come rivendichiamo con dignità.
Ma…, se i virus prima o poi passano, i vulnus restano e vietare, di fatto e di diritto, agli avvocati ultracinquantenni di esercitare il diritto di difesa in favore dei propri assistiti concretizza palese e macroscopica violazione dell’art. 24 della nostra Carta Costituzionale. La libertà di ogni avvocato è un presupposto fondamentale al quale non si può abdicare, perché qualsiasi cittadino, quale che sia la sua condizione, è libero nella misura in cui lo è l’avvocato che lo assiste. Le limitazioni e i condizionamenti imposti all’avvocato diventano, dunque, corrispondenti limitazioni e condizionamenti dell’assistito, al quale vengono sottratti diritti, primo tra i quali quello di essere difeso da legale di sua fiducia, e non da altri.
Di fronte ad imposizioni così palesemente lesive del diritto di difesa, avremmo apprezzato una presa di posizione tanto ufficiale, quanto “forte” dell’Ordine che Tu presiedi, presa di posizione che, invece, ad oggi, è mancata, come se l’attuale situazione fosse “normale”; così come sono mancate indicazioni operative necessarie per orientarci nella prassi quotidiana di tutela dei diritti nostri e dei nostri assistiti, anche al fine di prevenire eventuali iniziative individuali che potrebbero assumere veste di inopportune “fughe in avanti”.
Pur ritenendolo superfluo, intendiamo rimarcare, a scanso di equivoci, che non vengono qui in considerazione le differenziate – e tutte ugualmente lecite, se argomentate – convinzioni individuali circa l’efficacia della procedura di vaccinazione di massa, quanto, piuttosto, la consapevolezza che essenziali diritti di libertà, così come garantiti dalla Costituzione – e che le generazioni che ci hanno preceduto hanno inteso costellare di preziosi paletti onde impedire il possibile riproporsi di tempi bui – non possono essere soggetti a concessioni od autorizzazioni di sorta. Ed è questo un aspetto che interroga la nostra sensibilità di giuristi in quanto tali.
Abbiamo rilevato, specificamente, un’interpretazione del D.L. n. 1, da parte delle varie circolari che si sono succedute in questo primo periodo di vigenza, che riteniamo palesemente erronea, laddove pretende di imporre, a decorrere dal 15 febbraio prossimo, agli avvocati ultracinquantenni, l’obbligo del possesso e di esibizione del c.d. “green pass” rafforzato per accedere agli uffici giudiziari.
Al riguardo, ci permettiamo di osservare:
- diversamente che per i Magistrati e per il personale di cancelleria, il Tribunale non è affatto, per gli Avvocati, il “luogo ove essi svolgono la loro attività lavorativa” (ai sensi dell’art.9-sexies c.1 D.L. 52/2021 richiamato dal dl n.1/2022), tale essendo, piuttosto e solamente, il nostro studio professionale. Pertanto, non sembra che una tale – erronea – interpretazione del dato normativo possa essere posta a base dell’obbligo del c.d. green pass rafforzato: certamente non lo può essere in via analogica, posto che l’art 14 delle preleggi vieta di fare applicazione delle norme eccezionali (tale è la normativa in commento, per espressa qualificazione impressa dal legislatore) oltre i casi e i tempi in esse considerati;
- in realtà, a ben vedere, il Tribunale è un ufficio, non diverso dagli altri uffici pubblici (conservatoria, agenzia entrate ecc.) ai quali tutti gli avvocati ed utenti possono accedere per fruire di servizi;
- una diversa interpretazione, che pretendesse di imporre agli Avvocati ultracinquantenni il c.d. green pass rafforzato e non, a tutto voler concedere, il green pass “base” come per gli altri colleghi, confliggerebbe con la norma processuale che prevede l’obbligatoria rappresentanza tecnica processuale della parte, alla quale è invece concesso accedere senza alcun green pass, salvo, poi, trovarsi nella paradossale condizione di non potersi difendere, perché priva del suo avvocato di fiducia;
- la tesi per cui sarebbe applicabile agli avvocati ultracinquantenni, diversamente dagli infracinquantenni, il green pass rafforzato per accedere al Tribunale creerebbe, dunque, una illegittima disparità di trattamento, una distinzione tra giovani e … “anziani” priva di alcun fondamento scientifico, peraltro nemmeno esplicitato nell’ambito della normativa esaminata; fatto salvo che neppure è un requisito per l’esercizio della professione forense;
- ulteriormente, la pretesa, di cui alla normativa, di inibire ex lege la valutazione dell’impedimento del difensore al vaglio del magistrato, rappresenta un’ulteriore limitazione del potere giurisdizionale nella valutazione del caso singolo;
- viene in considerazione, infine, la violazione dei principi premessa del Regolamento UE 2021/953 Certificato COVID digitale dell’UE.
Da tali considerazioni consegue, a nostro parere, una gravissima ed ingiustificata compressione del diritto di difesa che coinvolge tutta la categoria forense, di cui l’Ordine professionale è tenuto, a nostro avviso, a farsi carico, nell’interesse degli iscritti e dei cittadini tutti.
Non siamo certamente soli nello svolgere queste considerazioni; ricordiamo, tra i tanti, illustri Colleghi, Magistrati ed Ordini che ad oggi si sono espressi:
- il Consigliere di Cassazione Daniele Cenci, il quale ha scritto un saggio pregevole e coraggioso, come ogni giurista dovrebbe essere;
- il Presidente del Consiglio dell’Ordine Avvocati di Milano, che ha chiaramente significato il proprio pensiero affermando che, con l’introduzione del “lasciapassare sanitario” per gli avvocati e l’obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni il cittadino perde il diritto di scegliersi il legale che desidera. La scelta del difensore è una scelta strettamente personale del cliente. Il rapporto tra un cittadino e il suo avvocato prevale su tutto, essendo un presupposto fondamentale del diritto di difesa;
- un folto gruppo di Colleghi – non solo penalisti – ha rivolto all’UCPI (che, in passato si è battuta con forza per proteggere gli avvocati da assalti molto meno gravi di quelli odierni) una lettera aperta, lamentando la lesione del diritto di difesa posta dal Decreto;
- il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia, con una nota del 27 gennaio scorso, rivolta tanto al Ministero della Giustizia che ai Presidenti della Corte di appello, della Procura della Repubblica di Bologna e del locale Tribunale e, non ultimo, al CNF, ha espressamente manifestato le proprie motivate perplessità, all’esito di un processo di interpretazione soprattutto delle circolari applicative del decreto, che non può essere contra legem, chiedendo espressamente che gli organi interrogati vogliano procedere, all’esito di un motivato percorso di analisi logico giuridica proposto, ad un riesame della normativa.
Ce ne è abbastanza, crediamo, per una forte censura anche da parte del nostro Ordine – posto che l’Avvocatura è, per definizione, professione di uomini liberi – una volta che si sia realizzato che sono stati valicati limiti che difficilmente consentiranno di retrocedere alle libertà per le quali, chi ci ha preceduto, si è battuto, anche a costo della propria vita
Si tratta di argomenti che non potrebbero essere congedati con la laconica considerazione che diritti fondamentali, quali quelli della libertà personale, di circolazione e di difesa sarebbero, ancor oggi, pienamente esplicabili sol che si esibisca idonea documentazione volta alla prevenzione del contagio, ovvero con l’altrettanto laconica affermazione che l’avvocato è cittadino come tutti gli altri, e come tale tenuto a rispettare le norme poste a tutela della salute collettiva, non potendo invocare, per sottrarsene, il proprio fondamentale ruolo costituzionale.
Perché è proprio questo il punto: la certificazione sanitaria, come è andata strutturandosi nel tempo e come è attualmente concepita, non ha proprio nulla a che vedere con ragioni di tutela della salute pubblica e sta sempre più diventando unicamente un “lasciapassare” solamente attraverso il quale è possibile esercitare diritti fondamentali.
Non intendiamo sottrarre altro tempo al Tuo ruolo e concludiamo la presente chiedendo che l’Ordine, da Te rappresentato, voglia prendere una precisa posizione sulle tematiche esposte.
Chiediamo, altresì, al fine di meglio poter chiarire la nostra posizione, la possibilità, per una nostra delegazione, di incontrarTi in tempi brevi, eventualmente in uno con i consiglieri, anche in vista ed in funzione della prossima convocazione di assemblea – al cui ordine del giorno è posto, come sempre, il “varie ed eventuali” e nel cui ambito la materia potrebbe trovare collocazione – per poterci confrontare su temi di così grande impatto sulla professione, come si confà̀ a giuristi che da sempre sanno discutere al di sopra e al di là di qualunque ideologia e divisione.
Ci sottoscriviamo, fermo restando che ogni altro Collega potrà, se riterrà di condividere il contenuto della presente, farlo in momento successivo.
Molto cordialmente Ti salutiamo.
Rosarita Mannina, Enrico Fornasari, Emanuela Bisi, Claudio Borgoni, Oscar Paperi, Enrico Micheli, Michele Cella, Sara Soresi, Giovanni Carmagnola, Silvia Felice, Cristina Villa, Daniela Pelizzari, Paolo Campana, Flavia Motti, Patrizia Barletta, Carolina Arata, Carlo Alberto Bosi, Alfonso D’Antuono, Stefania Falliva, Giovanna Turchio, Andrea Siligardi, Emanuele Solari, Francesca Manfrinato, Claudio Castagnetti, Patrizia Picciotti, Barbara Armelloni, Mirella Malchiodi, Monica Malchiodi, Corrado Prandi, Claudio Bruni, Antonio Ruspaggiari, Maria Cristina Bagnalasta, Emiliano Lommi, Amedeo Bergonzi, Paola Longinotti, Grazia Chitti, Simona Solenghi, Enrico Giuseppe Banfi, Massimo Saltarelli, Margherita Prandi, Jonathan Vignali, Monica Fermi, Maria Letizia Pellacani, Antonino Coppolino, Corrado Sforza Fogliani.
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