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Arresti illegali e torture per alimentare lo spaccio di droga durante il lockdown, sei carabinieri arrestati. Il pm Pradella: “Questo non deve minare la fiducia nell’Arma” – AUDIO e FOTO

Sequestravano droga ai pusher che non appartenevano alla loro rete. Poi immettevano parte della droga sequestrata sul mercato piacentino con la collaborazione di spacciatori “amici”. Per sequestrare lo stupefacente ai rivali, i militari improvvisavano arresti basandosi sulle segnalazioni degli spacciatori complici: per questo motivo, di fatto, si inventavano di sana pianta le circostanze in cui l’arresto era maturato. Non solo, questi arresti avvenivano in alcuni casi con percosse e torture. Per questo sono finiti in manette sei carabinieri della stazione Levante.

Il sistema e le indagini

Il gruppo di carabinieri arrestati avrebbe stretto legami con gruppi di spacciatori di droga. Come noto, però, in periodo di lockdown, la sostanza stupefacente aveva iniziato a scarseggiare. A quel punto i militari infedeli avevano deciso di aiutare maggiormente i pusher con cui era in corso la collaborazione.

Lo avrebbero fatto seguendo due strade principali: da una parte sequestrando droga agli spacciatori non “affiliati”, dall’altra facilitando il compito ai pusher amici. L’indagine è durata sei mesi, durante i quali la Guardia di Finanza, coordinata dalla Procura, ha raccolto una vasta quantità di prove attraverso intercettazioni telefoniche e infiltrandosi nei computer degli operatori sospettati con l’aiuto di virus informatici. Il quadro emerso è inquietante.

Le misure cautelari

Dodici misure di custodia cautelare in carcere: tra questi cinque carabinieri, sei soggetti italiani e un magrebino. Cinque misure di custodia cautelare agli arresti domiciliari: tra questi un carabiniere. Quattro misure di obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, tra questi tre carabinieri e un militare appartenente alla guardia di finanza. Una misura di obbligo di dimora nella provincia di Piacenza, sempre per un carabiniere di Piacenza. Solo un carabiniere della caserma in questione è risultato non coinvolto nell’operazione.

Devono rispondere a vario titolo di delle ipotesi di reato di peculato, abuso d’ufficio, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio; lesioni personali aggravate, arresto illegale, perquisizioni ed ispezioni personali arbitrarie, violenza privata aggravata, tortura, estorsione, truffa ai danni dello Stato, ricettazione, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.

Ai civili sono contestati in particolare i reati di concorso in spaccio di sostanze stupefacenti. Tra le persone sottoposte agli arresti domiciliari anche la compagna di uno dei carabinieri.

L’attività di spaccio

Oltre a collaborare con spacciatori di alto livello del panorama provinciale, favorivano dunque l’approvvigionamento di droga durante il periodo di lockdown: “Un approvvigionamento spasmodico, quasi quotidiano”, commenta il procuratore capo Grazia Pradella.

In un caso avrebbero fornito una certificazione a uno dei pusher per permettergli di spostarsi in auto durante il lockdown: un foglio, in sostanza, su cui era scritto che il viaggiatore era stato già sottoposto a un precedente controllo. In questo modo lo spacciatore avrebbe potuto raggiungere Milano per fare rifornimento.

Inoltre, uno dei militari avrebbe conservato materialmente la droga all’interno del proprio domicilio. Qualcuno sarebbe arrivato addirittura a spacciare per conto proprio. I militari infedeli, poi, arrestavano altri pusher con cui non avevano rapporto di collaborazione, e nascondevano la droga sequestrata per poi poterla immettere sul mercato.

“Nel momento in cui procacciarsi droga e smerciarla diventa impossibile a causa delle misure anti-contagio imposte con il lockdown, entra in azione una sorta di associazione composta da cinque militari che ha iniziato a reperire droga sequestrandola a pusher che non facevano parte della loro rete”, spiega Pradella. “Quindi lo stupefacente che veniva sequestrato solo in parte veniva messo a disposizione dell’autorità giudiziaria. Il resto veniva consegnato ai pusher di loro fiducia per la commercializzazione”.

All’interno di questo sistema illegale si verificano episodi di contorno estremamente gravi.

Gli abusi sugli arrestati

“Questa attività di procacciamento della sostanza stupefacente ha comportato condotte gravissime nei confronti di piccoli spacciatori, ultimi tra gli ultimi, che non avrebbero mai osato denunciare i soprusi subiti. I carabinieri in questione, per danneggiare queste persone, operavano arresti in circostanze del tutto inventate. Circostanza che trasmettevano anche per iscritto all’autorità giudiziaria. Si esaltavano per il numero di arresti eseguiti, volevano sembrare più bravi dei colleghi che giudicavano incapaci. Pur di sembrare più bravi e pur di riportare la droga tra le strade piacentine non badavano a impiegare ogni mezzo”.

In un caso avvenuto il 27 marzo scorso uno dei carabinieri arrestati avrebbe selvaggiamente picchiato un uomo, accusato di essere uno spacciatore: quest’ultimo, inoltre, era ammanettato e quindi impossibilitato a nuocere agli operatori.

In un altro avrebbero picchiato un uomo, di origini nordafricane, perché sospettato di far parte di un gruppo di spacciatori. A quest’ultimo avrebbero anche sottratto il telefono cellulare. Quando la vittima dell’aggressione, completamente estranea a qualsiasi traffico di stupefacenti, si è recata in caserma per denunciare il fatto, i militari lo hanno cacciato con violenza.

Nel corso della conferenza stampa, il procuratore capo Grazia Pradella ha fatto ascoltare un’intercettazione ambientale che racconta i drammatici momenti di un pestaggio ai danni di un altro presunto spacciatore. L’uomo piange, implora che si ponga fine alla violenza, ma il rumore delle percosse non si placa. “Sentiamo rumore di acqua e colpi di tosse: segnali che ci fanno temere qualcosa in più delle percosse”.

Faccio fatica a chiamare queste persone carabinieri. In quella caserma non c’è stato quasi nulla di lecito. Una serie di reati impressionanti se si pensa che a commetterli sono stati alcuni carabinieri. Questi fatti, però, non devono intaccare la fiducia dei cittadini nell’Arma”.

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