
Inseguire sempre i propri sogni, anche se appaiono come utopie. E’ questo il messaggio che Gianluigi Buffon, leggenda del calcio italiano, ha voluto affidare alle centinaia di giovani che questa mattina hanno affollato la ex chiesa del Carmine. Un incontro inserito nell’ambito della rassegna “Se la generazione Z interpreta la storia”. Messaggio che Buffon ha espresso anche nel suo libro “Cadere, rialzarsi, cadere, rialzarsi”.
“Sono delle situazioni anche di vita privata o di scelte inedite che chiaramente possono interessare un po’ di più il lettore e questo alla fine mi interessava”.
Quale messaggio vuole lanciare ai ragazzi?
“Vivere la propria vita coltivando i propri sogni, sostenendo anche delle utopie, perché alcune volte ti accorgi che tu stai cercando di convincerti di una cosa che non accadrà mai. Però quello aiuta secondo me a spostare il limite sempre più là, aiuta a riconoscersi migliore di quello che pensavi di essere, aiuta a metterti alla prova e vivere la vita da protagonista. Perché poi la vita dicono che sia solo una e quindi sarebbe bello viverla da protagonista”.
Quali sono state le utopie realizzate o non realizzate di Buffon?
“Ho coltivato l’utopia del calcio da quando ero ragazzo. L’idea, quando ero un ragazzino, di vincere inizialmente lo Scudetto o la Champions League col Parma, l’idea di vincere il Mondiale quando ero bimbo, poi però è accaduto, si è rivelata una cosa veritiera e non utopia. L’idea di vincere a 40 anni il Pallone d’Oro o con la Juventus la Champions League. Quando sono tornato a Parma a 45 anni in Serie B io ho messo una clausola per un premio a vincere lo Scudetto, non a tornare in serie A dalla serie B: questo è sempre stato il mio modo di ragionare. Cioè far sì che non siano gli altri ad attribuirti quello che deve essere il tuo obiettivo, ma devi essere te a creartelo”.
Inevitabile una domanda sul nostro Piacenza, che Buffon ha sfidato e che oggi lotta per non retrocedere dalla Serie D all’Eccellenza.
“Un dispiacere perché alla fine il Piacenza che incontravo io era una realtà che quando l’affrontavi vedevi che era galvanizzata, che viveva veramente di grande entusiasmo che era diventato ormai contagioso. Il fatto che una realtà simile sia finita in serie D dispiace perché secondo me ci sono delle realtà che hanno i crismi e il DNA per stare almeno in cadetteria, male che vada il Piacenza deve stare in serie B, non sicuramente dove adesso”.















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