Davide Baruffi, sottosegretario alla presidenza della Regione Emilia Romagna, ha fatto visita a Piacenza e agli operatori impegnati ad affrontare l’emergenza sanitaria: “Ho visto la foga dei più giovani e la solidità dei più anziani mentre parlavano”. Baruffi racconta le proprie emozioni in un post su Facebook.
Oggi pomeriggio, dopo aver visitato l’ospedale da campo allestito dall’esercito a Piacenza, sono andato al pronto soccorso della città. Era un impegno che avevo preso col direttore generale della Asl e col presidente dell’ordine dei medici nei confronti dei loro colleghi, per vedere il punto più difficile della nostra trincea contro il coronavirus.
Mi ha colpito la quantità di persone accolte in locali completamente trasformati e riadattati al coronavirus. Letti e barelle ovunque. Ma anche il decoro, il tentativo di ordine e di umanità che i nostri sanitari hanno messo in quel terremoto.
E pediatri di libera scelta venuti ad aiutare per assistere i pazienti.
Ammassati all’aeroporto di Santo Domingo da un giorno: “Alla faccia del coronavirus e della sicurezza”. Resta drammatica la situazione per Giovanni Borsotti, 50 anni, Marco Maggi, 56 anni, Maurizio Massari 72 anni.
Dalle 20 alle 6 non possiamo uscire, mentre per il resto della giornata possiamo uscire solo per fare spesa”. E’ il racconto di Massari.
Pensavo che la parte più difficile fosse vedere i malati più gravi (ed è difficile davvero) ma non è stato così. Perché al termine del giro, i medici e gli infermieri hanno voluto sedersi in cerchio per raccontarmi cosa significhi vedere ogni giorno la gente morire così; dover scegliere cosa fare davanti a decine di situazioni drammatiche, doversi inventare soluzioni su due piedi. Mi hanno chiesto delle mascherine, dei camici e dei ventilatori, delle dimissioni dei pazienti e dei trasferimenti necessari, dei tamponi e delle assunzioni. Ho visto la foga dei più giovani e la solidità dei più anziani mentre parlavano.
Mi hanno chiesto di raccontare queste cose. Di dire che non va tutto bene, che ce la stanno mettendo tutta ma non basta, perché il lavoro più importante lo devono fare i cittadini. Pensano che ce la faremo solo se cambiano i comportamenti; se anche noi come Regione imponiamo più solidarietà tra territori, se non diamo facili rassicurazioni ma raccontiamo queste cose ai loro colleghi e a chi sta fuori. Perché oggi nessuno può entrare all’ospedale e pensano che da fuori non si veda e non si capisca quello c’è dentro.
L’infermiera che mi ha svestito alla fine del giro mi ha detto con gli occhi lucidi che in 35 anni di servizio non ha mai vissuto niente di simile. E che le dispiace per i colleghi più giovani, che hanno cominciato in questa situazione. Un’altra che abbiamo salutato dorme lì da un mese. Non me lo ha detto lei ma il direttore quanto l’abbiamo superata. Credo che anche questo vada raccontato, anche se non me lo hanno chiesto.
Li ho ringraziati tutti e ho detto loro che li abbracciavo anche a nome vostro.
L’amore ai tempi della pandemia: Ci ha chiamato una signora, costretta a casa dalla quarantena, che aveva una medicina da portare al marito, colpito da Coronavirus e ricoverato in ospedale.
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