Riceviamo e pubblichiamo la nota di Corrado Sforza Fogliani, presidente di Assopopolari.
La trasformazione dell’Italia da agricola in industriale la fecero le banche di territorio (solo le Popolari, erano 200 circa), protette dalla Vigilanza perché mantenevano la concorrenza nell’ambito del sistema (che, allora, era un vero sistema). Il mercato del credito era, dunque, consono al sistema italiano delle imprese, così accompagnate nel loro sviluppo zona per zona: un sistema che è ancora costituito da 156.754 unità produttive, di cui 130.300 piccole e medie imprese (dati 2018), con 4 milioni di addetti.
Solo quattro anni fa c’erano Popolare di Bergamo e Banco di Brescia, con Banca di Valle Camonica, Popolare di Ancona e Banca Carime, finirono tutte in UBI Banca. Ora, UBI Banca se la prende Banca Intesa nella quale s’era fuso il San Paolo e che era nata da Cariplo e dal Banco Ambrosiano Veneto, acquisendo poi la Banca Commerciale Italiana. Nel solo Piemonte la Cassa di Cuneo confluì nella BRE che fu poi incorporata da UBI, che adesso dovrebbe sparire in Intesa.
Anche questo piccolo scampolo di settore dimostra come vadano le cose in Italia, l’oligopolio (per il quale spinge la finanza internazionale) si avvicina a grandi passi. Le associazioni di categoria, non esistono che sulla carta e comunque non si fanno sentire (se ne accorgeranno le prossime generazioni). Ma gli imprenditori di Ubi già sono decisi a difendersi.
Non è solo questione di concorrenza, e di costo del credito (contro il quale quelle organizzazioni sbraitano cantando una superata, vecchia canzone senza neanche accorgersene, in un momento storico nel quale la liquidità abbonda e non si sa, in molte zone, dove investirla, e questo, intanto, mentre certe associazioni imprenditoriali – magari – associano, per via delle quote, banche che fanno solo raccolta, o quasi!). Presto, se si va avanti di questo passo, sarà per tutte le piccole medie imprese questione non di prezzo del credito, ma di credito addirittura. In certe zone (e non solo del Sud) totalmente prive di banche locali, è già così. In genere ovunque, non si può più fare credito non conoscendo le persone, e i singoli imprenditori, ma sulla base solo di carte (o dei certificati prefettizi di legalità!) e dei bilanci ufficiali.
Per i regolatori europei, certo, meno banche vuol dire meno problemi. Sembra anzi che si voglia ora aprire una nuova stagione di fusioni ed il tempo non potrebbe essere più favorevole. I debiti sovrani (perché questa è la verità) impongono di tenere i tassi bassi, si dice che lo si fa seguendo le teorie di Keynes ma questi anni hanno dimostrato ciò che Friedman ha sempre detto, che i soldi gettati dall’elicottero non finiscono all’economia reale (ma alla grande finanza, che ci guadagna due volte, così). La situazione economica non è difatti migliorata, tanto più in Italia. E le banche devono cercare redditività nel risparmio gestito e nell’assicurativo, impieghi e credito in genere rendono più poco, non sono più attraenti. Proprio da questo nascono le fusioni o le spartizioni di territorio, mentre le banche devono sempre più vedersela con competitori non bancari, non gravati da spese buroindotte molte volte inutili e, sempre, in spregio (europeo) ad ogni pur obbligatorio criterio di proporzionalità. Con un’Europa, poi, che ha preteso l’applicazione del bail-in solo da noi, dove i soldi privati sono aiuto di Stato ma non in Germania, dove anzi i soldi pubblici sono privati. Molte fusioni, da noi, sono poi state favorite dalla legge contro le Popolari, la stessa fusione all’onore delle cronache di questi giorni non sarebbe neppure apparsa all’orizzonte senza quella legge.
Per concludere, le fusioni (nelle quali le Fondazioni di origine bancaria non toccano palla) sono dunque spinte, oltre che dai regolatori per quanto anzidetto, dalla stessa convenienza delle banche, sempre più stimolate a fare altro piuttosto che credito, ed indebolite – nell’immagine e nei conti – dai rovesci di cui hanno approfittato (e/o si sono giovati) i fondi speculativi (alle banche italiane questi rovesci sono già costati 13,4 miliardi). La nemesi di chi ha già fatto fuori banche più piccole, è in pieno sviluppo. Il credito puro è sempre più sofferente. L’oligopolio al quale tendono i colossi internazionali, sempre più vicino. Solo da noi, però. In Germania ed anche in Francia, per non parlare degli Stati Uniti e del Canada, ci sono infatti i colossi bancari, ma ci sono anche le banche di territorio, non si cerca di creare i colossi – come da noi – solo facendo fuori le piccole banche. Hanno così chi fa credito a tutte le categorie di imprese. Noi, che dovremmo avere più di ogni altro un sistema del credito variegato, lasciamo fagocitare le banche di territorio (quelle che i relativi territori non sanno tenersi), nella piena disattenzione di chi – impari al proprio ruolo – dovrebbe difendere il credito per le medie e piccole imprese.
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