Avrebbe potuto tornare in Italia, dalla sua famiglia. Ma Federico Tosca, piacentino di Castel San Giovanni e trent’anni appena compiuti, ha scelto di restare giù. Quel “giù” è l’Uganda, dove il ragazzo vive e lavora dallo scorso ottobre per Africa Mission Cooperazione e Sviluppo. La stessa Uganda che oggi conta 54 casi di coronavirus e ben poche strutture ospedaliere, quasi nessuna in grado di fronteggiare una possibile emergenza: qualche giorno fa il Paese è stato letteralmente “blindato” con una serie di normative emanate dal presidente Museveni. Federico si trova oggi nel Centro di Moroto, nella poverissima regione del Karamoja: partito inizialmente come volontario, poi entrato di fatto nell’organico del Movimento, ha deciso di rimanere in Africa. Con un po’ di preoccupazione per la situazione italiana ma nessun dubbio sul tornare o meno nel Piacentino.
Federico, perché hai scelto di restare in Uganda?
“È stata una decisione meditata insieme agli altri: al Centro di Moroto attualmente siamo in sette di cui quattro italiani. Personalmente sono stato subito sicuro di rimanere perché come gli altrui mi sento protetto da un’organizzazione che da sempre mette la massima attenzione su tutto. E anche ora non è da meno. Poi con gli altri ragazzi si sono costruiti dei rapporti solidi, è come essere in una specie di famiglia: ci siamo confrontati e abbiamo scelto di restare, Ci teniamo costantemente informati su quanto accade in Italia e sentiamo le nostre famiglie”.
La tua famiglia come ha preso la decisione di restare in Uganda?
“Diciamo che adesso è più tranquilla. Mi è rimasta in testa una frase di mio padre: “Questa è una cosa che in Uganda non potete immaginare” mi ha detto qualche giorno fa e in effetti ha ragione. Qui probabilmente non c’è una reale percezione di quanto stia accadendo in Italia, forse anche perché sono state prese delle misure di restrizione molto forti già da qualche giorno. Le parole di mio papà mi hanno fatto preoccupare e mi sembrava strano anzi che la mia famiglia temesse per me”.
Come è la situazione in Uganda e soprattutto a Moroto ora?
“Sono stati chiusi tutti i collegamenti con l’esterno e anche tutti i negozi che non siano alimentari. Alle sette di sera scatta il coprifuoco che viene fatto rispettare attraverso dei controlli severi”.
Come fate con le attività di Africa Mission Cooperazione e Sviluppo?
“La maggior parte dei progetti è stata temporaneamente sospesa per tutelare la sicurezza di tutti. Vengono garantiti la perforazione e il mantenimento dei pozzi perché è fondamentale che i villaggi non rimangano senza acqua. Inoltre a Moroto abbiamo avviato dei laboratori per creare del sapone e costruire delle mascherine che vengono destinate ai dipendenti e ai centri di prima assistenza medica, ma anche al carcere locale. Insieme ai salari abbiamo distribuito anche i termometri. Insomma cerchiamo di renderci utili come possiamo”.
Immagino che la vita tua e degli altri sarà cambiata in questi ultimi giorni: come passate la giornata a Moroto?
“Siamo dentro il Centro e non usciamo. Nonostante questo, ci sentiamo comunque dei privilegiati: non abbiamo problemi di cibo perché possiamo contare su un orto grande, abbiamo fatto scorte di diesel per alimentare i generatori e di acqua. Abbiamo a disposizione un’area ampia come è quella del Centro e il sostegno di una realtà strutturata come Africa Mission e del Consolato italiano. Se volessimo tornare potremmo farlo, ma per ora siamo tranquilli qui”.
Quando saresti dovuto tornare?
“Prevedevo di rientrare a Piacenza a fine giugno: chiaramente ora è tutto rinviato, ma non si sa a quando. Sicuramente per adesso resto qui anche perché se partissi poi non saprei come tornare: non è così ovvia la possibilità di viaggiare verso Uganda viste le restrizioni governative e io ora voglio restare vicino alla mia organizzazione”.
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