È un folto pubblico quello che accoglie il giornalista Jean Leonard Touadi e lo scrittore Jean Paul Habimana nell’Auditorium Sant’Ilario per la conferenza su “L’Africa sulla mia pelle” che ha chiuso la prima giornata di celebrazioni del cinquantesimo anniversario di fondazione di Africa Mission Cooperazione e Sviluppo.
“Quando si parla del continente africano, Africa Mission rappresenta il meglio dell’Italia. Perché non solo ha garantito ai popoli dell’Uganda ciò di cui avevano bisogno per vivere, ma piano piano li ha aiutati a camminare con le proprie gambe e questo è il regalo più bello che si possa fare”, commenta Touadi.
Preceduto dai saluti dell’assessore Chiara Borghini e coordinato dalla giornalista Betty Paraboschi, l’incontro ha offerto l’occasione di allargare lo sguardo sul continente africano, quello che ha vissuto la pandemia e che sta posizionandosi anche nello scacchiere politico della guerra Russo-ucraina.
Ma il pomeriggio ha anche offerto l’occasione di riflettere su come le parole e il linguaggio condizionino la società e ne siano condizionati: “C’è un’ossessione del nero nella cultura occidentale – spiega Touadì – è lo straniero, quindi estraneo, minaccioso perché non conosciuto. Abbiamo assistito a un’inferiorizzazzione dell’africano e del nero”.
A fargli eco anche Habimana: “Avere l’Africa sulla pelle è stato e sarà ancora per un bel po’ difficile – spiega – ma ho davvero capito cosa significasse essere nero quando sono uscito dal seminario e sono andato a cercarmi un lavoro, mi sono confrontato con la vita reale”.
Habimana, sopravvissuto al genocidio del Ruanda, ha raccontato l’esperienza vissuta quando aveva solo 10 anni: un’esperienza con cui oggi guarda al conflitto russo-ucraino e all’accoglienza diversificata riservata ai profughi.
“Vedere le due file di profughi ai confini polacchi, capire che ci sono quelli portatori di diritti e gli altri no non è un bel vedere da un punto di vista morale” è stato il commento di Touadi.
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